
La due giorni di Champions League appena conclusa ha emesso il suo verdetto: la Finale di Champions League 2017/2018 sarà fra Real Madrid e Liverpool. I Blancos hanno eliminato il Bayern Monaco con grande fatica, grazie a due ‘regali’ (uno all’andata con Rafinha e l’altro al ritorno con Ulreich) andando vicinissimi al tracollo in casa, come già accaduto contro la Juventus. Discorso simile per i Reds che dopo aver battuto la Roma 5-2 ad Anfield, sono stati ad un passo dall’harakiri perdendo all’Olimpico per 4-2. Entrambi i post partita sono stati incentrati su aspre polemiche, legate ad alcune decisioni arbitrali davvero controverse. Il Bayern Monaco ha protestato per il fallo di mano di Marcelo poi ammesso dallo stesso giocatore nel post partita; mentre la Roma, per bocca del suo ds Monchi, ha criticato fortemente alcune mancate chiamate del fischietto Skomina, particolarmente sul fallo di mano di Arnold che ha letteralmente parato un tiro di El Shaarawy a botta sicura.
Decisioni che avrebbero cambiato il corso delle due gare? Probabilmente, anche se, vista la grande incidenza del ‘senno di poi’, sinceramente non è questo il punto che a noi interessa analizzare. Ci ritroveremmo ancora una volta a mettere in primo piano le polemiche e in secondo il calcio giocato. E proprio da italiani non ce la sentiamo. Se è vero che siamo il Paese in cui il post partita è un momento di culto, nel quale commentare ogni episodio dall’alto della nostra grande ‘esperienza’ sportiva, siamo anche il primo campionato (insieme alla Bundesliga) che ha introdotto il VAR, il sistema di telecamere in aiuto delle più delicate decisioni arbitrali. I risultati sono positivi, i numeri non mentono: grazie al VAR sono state prese 1631 decisioni corrette, sono state effettuate 105 correzioni mentre 1736 silent check hanno supervisionato sulle chiamate ‘live’ dei fischietti. Ci sono stati solo 17 errori, 8 dei quali hanno realmente influenzato il risultato: errori che con l’introduzione del VAR sono scesi dal 6,05% allo 0.98%.

L’Italia ha proposto un modello positivo, funzionante e funzionale al mondo del calcio. Un esempio da seguire, un sistema che verrà introdotto ai Mondiali di Russia 2018 e l’anno prossimo nella Liga Spagnola, mentre in Premier League verrà testata un’altra stagione unicamente nelle coppe. Mentre i maggiori campionati d’Europa aprono alla moviola in campo, proprio la UEFA resta scettica sulla tecnologia applicata al calcio. Champions League ed Europa League, le due massime competizioni europee, rifiutano il calcio 2.0 e sono costrette a fare i conti con ‘torti‘, ‘furti‘, polemiche con in ballo introiti milionari e soprattutto la gloria sportiva di un giocatore o di un club che può dipendere tanto da una simulazione, quando da un tocco di mano.

Qualcuno direbbe: “il calcio è sempre stato questo“. Vero. ‘È stato‘. Ad oggi c’è la possibilità di un miglioramento in grado di facilitare il lavoro degli arbitri e ridurre gli errori all’osso. Ma perchè la UEFA sembra non accorgersi di tutto questo? Il Presidente Ceferin non ha chiuso completamente la porta alla tecnologia, ma ha scelto di prendersi ‘più tempo’ per trovare una soluzione per quei piccoli club d’Europa che ogni giocano i preliminari e non hanno le strutture e i mezzi necessari per introdurre il Var nei loro stadi. Come affrontare dunque questa sorta di digital divide che penalizza piccoli ma anche grandi club? Si potrebbe richiedere alle squadre che giocano le competizioni europee di essere in grado di introdurre il sistema Var nei loro stadi, pena l’esclusione dalle coppe. Stanziare dunque un piano, con scadenza pluriennale entro il quale qualsiasi club voglia giocare Champions ed Europa League debba mettersi in regola, rendendo l’utilizzo del VAR una delle ‘richieste’ principali per ottenere l’idoneità a giocare in Europa.

