Acerbi-Juan Jesus: la gogna mediatica, il razzismo (che manca) e del sano trash talking

Il caso Acerbi-Juan Jesus è lo specchio della nostra società: giudici da tastiera con la condanna facile e il martelletto politically correct

SportFair

Il lunedì è il giorno per eccellenza in cui fare polemica, soprattutto se si è tifosi. Perchè se la persona comune rimpiange la domenica passata (quando possibile) in relax e il ritorno alla routine quotidiana, il tifoso aggiunge allo starter pack del “lunedì tipo” anche la polemica calcistica. Rigori, Var, gol sbagliati, Fantacalcio, sfottò lanciati e subiti a seconda di com’è andato il weekend della propria squadra.

Il lunedì dopo di Inter-Napoli, con i nerazzurri che frenano nella strepitosa corsa scudetto che dura da inizio stagione, dopo l’eliminazione dalla Champions League, avrebbe potuto regalare tanti spunti di riflessione, ma oggi di calcio non ne parla nessuno. L’hot topic di giornata è il presunto razzismo relativo al caso Acerbi-Juan Jesus.

Inter-Napoli: cosa ha detto Acerbi a Juan Jesus?

Il tutto sarebbe nato da una frase o una parola a sfondo razzista rivolta dal difensore dell’Inter a quello del Napoli. “Neg**”, secondo i rumor che circolano. In realtà Juan Jesus non ha confermato la parola in sè, nè l’arbitro ha scelto di prendere provvedimenti. Acerbi, a sua volta, ha voluto precisare: “frasi razziste dalla mia bocca non sono mai uscite. E’ l’unica cosa che posso dire. Io so che non ho mai detto frasi razziste, Sono 20 anni che gioco a calcio e so quello che dico. Sono tranquillo.

Non ho sentito Juan Jesus, secondo me ha capito anche male. Perché avrei dovuto chiedere scusa? Io so che non ho detto frasi razziste, gioco a calcio da vent’anni e so ciò che dico. Sul tema del razzismo spero che la lotta vada avanti in ogni parte del mondo. In campo succedono tante cose, è normale. Si gioca a calcio, si dicono certe cose ma quando si fischia ci si dà la mano e tutto torna come prima“.

Le scuse di Acerbi: era già finito tutto in campo

Il caso è iniziato e finito in campo. I due si sono chiariti, Acerbi ha chiesto scusa, Juan Jesus ha capito. Il brasiliano, ai microfoni di DAZN, ha spiegato: “in campo ci sta dire di tutto, lui ha visto che è andato oltre e ha chiesto scusa. E’ un bravo ragazzo, ha chiesto scusa e quando l’arbitro fischia va tutto a posto. Spero non accada più, è un ragazzo intelligente. Ci siamo abbracciati, dentro al campo ci sta dire di tutto e quello che succede in campo rimane dentro il campo“.

Acerbi cacciato dalla Nazionale

Tutto quello che succede in campo finisce in campo“. Una frase che vale, forse, solo per gli sportivi. Perchè entrambi i giocatori sembrano essersi chiariti, ma la polemica divampata in merito a quanto accaduto ha lasciato strascichi importanti.

Un episodio del genere, seppur piuttosto nebuloso, dai contorni non chiariti totalmente dai diretti interessati, senza alcun provvedimento preso dall’arbitro, doveva essere comunque punito. Lo hanno deciso i giudici da tastiera, quelli con il martelletto politicamente corretto, pronti a gridare allo scandalo e far guerra a colpi di perbenismo se le proteste sono ‘monetizzabili’.

E davanti a un tema caldo come il razzismo, visto il polverone mediatico sollevato, l’Italia (garantista?) ha scelto di punire comunque Acerbi escludendolo dal ritiro della Nazionale. Non sia mai che, nonostante Juan Jesus “non mi ha risposto al telefono” (parole di Spalletti), mentre “per quello che mi ha detto Acerbi non è un episodio di razzismo” (sempre Spalletti), si decida di convocare comunque Acerbi in attesa di ulteriori sviluppi sulla vicenda.

Il Trash Talking nello sport: un dito medio al politically correct

La storia umana e sportiva di Acerbi parlano da sole. Giocatore corretto, persona che ha provato sulla sua pelle la sofferenza della battaglia con il cancro, sconfitto per due volte, impegnato in prima linea per le persone più fragili. Ma Francesco Acerbi resta sempre un uomo e in campo, come sottolineato da Juan Jesus stesso, si finisce per dire di tutto.

C’è chi di quel ‘dire di tutto’, ne ha fatto un’arte. Negli USA hanno coniato il termine “trash talking“, “parlare sporco”. Insulti, a volte anche pesanti, frasi, gesti e comportamenti atti a colpire i punti deboli dell’avversario, per fargli perdere la concentrazione, la sicurezza, a volte anche la ragione.

Ci sono i più fini trash talker, quelli che entrano nella testa degli avversari (Michael Jordan, sì anche lui fa parte di questa ‘infame’ categoria); e quelli che invece sono dei provocatori nati, fastidiosi e martellanti, e non fanno niente per nasconderlo: si dice che Kevin Garnett diede del “malato di cancro” a Charlie Villanueva a causa della sua alopecia (seppur KG abbia smentito). Parliamo di questo livello qui, in ambito NBA.

E negli USA, la patria delle proteste antirazziste e del politically correct, quello che succede in campo resta in campo. Al massimo ci si ‘rivede’ alla prossima partita. Pensate se Kevin Garnett avesse giocato in Italia e avesse detto le stesse cose. Oggi che lo sport sembra aver perso i valori della sana e dura competizione sportiva trasformandosi in una versione PEGI 3.

Nel nostro Paese un insulto, magari sopra le righe ma già chiarito in campo, viene condannato dall’opinione pubblica ancor prima che vengano svelati gli esatti contorni della vicenda. Acerbi oggi passa per razzista, ne viene macchiata la carriera e la persona. Rischia anche di perdere il posto in vista dell’Europeo per una presa di posizione a prescindere: una deriva nazionale, ma con la n minuscola. E non parliamo di N word.

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