La storia d’amore con Sinisa e la malattia, i racconti da brividi di Arianna Mihajlovic

Arianna Mihajlovic a 360 gradi: dalla storia d'amore con Sinisa alla malattia, il racconto da brividi della moglie dell'ex calciatore

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Ad oltre un anno dalla scomparsa di Sinisa Mihajlovic, Arianna Rapaccioni, moglie dell’ex calciatore e allenatore, è stata ospite di Silvia Toffanin a Verissimo, per la prima intervista dopo la scomparsa del marito.

Un anno difficile e doloroso per tutta la famiglia Mihajlovic, he va avanti grazie allo spirito combattente di Sinisa: “è stato un anno difficilissimo, ho alternato emozioni diverse. Inizialmente non riuscivo a prendere coscienza di quello che era successo. I primi mesi ero scioccata. Ora pian piano con l’aiuto di un professionista sto cercando di elaborare il lutto. Il mio analista mi ha detto ‘Arianna hai due possibilità o vivere o morire, che vuoi fare?’ E io ho deciso di vivere, anche per i miei figli e per Sinisa, che era un combattente. Era un uomo speciale e per questo io voglio ricordarlo sempre, in ogni momento e voglio che non si dimentichi mai“, ha dichiarato Arianna.

La storia d’amore con Sinisa Mihajlovic

Arianna ha raccontato la splendida storia d’amore con l’ex calciatore: “ci siamo conosciuti che avevo 23 anni, l’anno dopo ci siamo sposati e poi è nata la nostra prima figlia e poi ne abbiamo avuti quattro. E’ stato un amore stupendo e sono felice di avere avuto l’onore di vivere questi 27 anni con una persona stupenda“.

La malattia di Sinisa Mihajlovic

Non poteva mancare una parentesi sulla malattia di Mihajlovic, la leucemia: “era luglio, eravamo in vacanza in Sardegna con la famiglia. Mi ero accorta che era più stanco del solito, si addormentava spesso dopo pranzo, cosa che prima non gli succedeva mai. Lui diceva che era perché aveva avuto una stagione pesante. Un giorno ha giocato una partita a tennis con Marcolin, la mattina dopo non riusciva più a camminare. Siamo andati al Pronto Soccorso, ma non si era capito ancora nulla. Poi lui è partito per il ritiro e ha detto di non preoccuparci perché si sarebbe fatto i controlli a Bologna. Dopo aver avuto l’esito lui è stato due giorni in albergo senza dirci nulla. Poi dopo due giorni mi ha telefonato per avvisarmi che doveva dirmi qualcosa. Io pensavo si trattasse di lavoro, invece mi ha detto che aveva la leucemia. Io sono rimasta sbalordita, sono rimasta in silenzio, poi ho detto ‘Non ti preoccupare, ora affrontiamo tutto, domani prendo un aereo e vengo da te’. Eravamo convinti di farcela e infatti dopo il primo trapianto lui era tornato come prima. Purtroppo dopo due anni e mezzo ha avuto una ricaduta e lì ho cominciato ad avere davvero paura di perderlo. Ha subito un altro trapianto, che è stato tostissimo. Io ho sofferto quando è morto, ma anche tutti i quattro anni precedenti per me sono stati durissimi. Ho ancora difficoltà a superare quello che ho visto in ospedale e ringrazio il Sant’Orsola di Bologna perché hanno fatto davvero di tutto per salvarlo. Io devo riprendermi ancora da quei momenti, perché sono stati troppo forti. La notte ho ancora dei flash di tutte le cose brutte che ho visto“.

Per lui, dopo il secondo trapianto andato male, c’era una sola altra possibilità, una cura sperimentale a Bergamo. All’inizio sembrava che andasse bene, poi purtroppo ha avuto un tracollo. I medici mi hanno convocata, avevo avvisato che dovevano parlare solo con me, di non dire nulla a lui per non scoraggiarlo. Mi hanno detto che purtroppo non c’era più niente da fare. Tornando a Roma, è stato un viaggio allucinante, lui mi ha guardato e mi ha detto: ‘Mi dispiace solo di non veder crescere i miei figli’. Io gli ho detto ‘Non ti preoccupare, ce la farai’. Mi sono confrontata con i miei figli e abbiamo deciso di non dirglielo. Noi abbiamo vissuto l’ultimo mese sapendo che sarebbe morto e lui non lo sapeva. È stato drammatico. La cosa bellissima, tra virgolette, è che in quel momento eravamo tutti lì, i miei figli, il suo migliore amico, mia madre, la nipotina. Abbiamo visto che il respiro si affievoliva, ci siamo messi tutti intorno, io gli ho preso la mano e gli ho detto ‘Non ti preoccupare, ci penso io ai ragazzi, puoi andare’, perché lui non voleva andare. Abbiamo sentito una forza enorme, abbiamo pianto tutti insieme. Io in quei quattro anni non ho mai pianto, perché sapevo che se vedeva crollare me era un problema. Lui mi scrutava per studiare le mie espressioni. Io non mi sono mai fatta vedere piangere, ma in quel momento sono crollata, siamo crollati tutti. È stato drammatico“.

La reazione della famiglia

Ci stiamo pian piano riprendendo. Ognuno ha il suo modo di elaborare il lutto. I miei figli sono diventati molto forti, sono molti attivi, vogliono dimostrare al papà che sono dei ragazzi forti e vanno avanti per la loro strada e che ce la possono fare“, ha aggiunto Arianna prima di confessare il suo unico rimpianto: “ho sofferto durante la malattia, perché avrei voluto dargli più dimostrazioni d’affetto, ma non potevo farlo perché lui mi avrebbe vista diversa e invece dovevo essere una roccia. Avrei voluto dirgli che sono stata una donna fortunata per aver avuto lui, che mi ha amata tantissimo. Due giorni prima di morire sono riuscita a farmi dire ‘ti amo’. Stava parlando con il medico, che cercava di rassicurarlo e gli ha detto ‘Luca ti voglio un mondo di bene’ e io gli ho detto ‘Scusa a lui dici che gli vuoi bene e a me niente?’ e lui ha detto ‘A te ti amo, è diverso’ e io gli ho detto ‘Anche io ti amo‘”, ha concluso.

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