Riccardo Cucchi si racconta ai microfoni di SportFair: dalla Radio alla Lazio, una passione romantica per il Calcio e lo Sport. Con una chicca speciale…

SportFair

Intervista a Riccardo Cucchi: una vita dedicata all’informazione sportiva, dal calcio alle Olimpiadi con la Scherma e il Canottaggio: una delle voci più belle e storiche dello sport italiano si racconta ai microfoni di SportFair

LaPresse/ Gian Mattia D’Alberto

Riccardo Cucchi per oltre trent’anni è stato una delle voci di ‘Tutto il Calcio Minuto per Minuto’. Il giornalista RAI il 12 febbraio 2017, dopo la conclusione di Inter-Empoli della 24ª giornata di campionato di Serie A, ha lasciato la trasmissione sportiva più importante del panorama radiofonico nazionale. Il giornalista adesso è conduttore della trasmissione “La Domenica Sportiva“. Cucchi in carriera ha raccontato parecchie partite importanti come lo scudetto della Lazio nella stagione 1999-2000; molte finali di Champions League (intenso è stato il racconto di Juventus-Milan del 2003 a Manchester) e soprattutto è il terzo radiocronista ad aver ‘vinto alla radio’ il Mondiale con la Nazionale (prima di lui solo Niccolò Carosio nel 1934 e nel 1938, ed Enrico Ameri nel 1982). Ai microfoni di SportFair, Riccardo Cucchi ha ripercorso alcune delle sue emozioni provate in carriera, ha analizzato la crisi della Nazionale di Calcio l’esonero di Montella, e della passione per la scherma.

Come è nata la passione per la Radiofonia?

LaPresse\Cosima Scavolini

“È nata ascoltando la radio da bambino. Avevo otto anni e ascoltavo Tutto il Calcio Minuto per Minuto, unica trasmissione che raccontava le partite partendo dai secondi tempi. Io ero nella mia stanzetta e ascoltavo le varie voci di Carosio, di Ameri, di Ciotti e con l’album delle figurine Panini davanti a me immaginavo i campi verdi con le loro facce”. 

Tutto il Calcio Minuto per Minuto è stata la pietra miliare del calcio. Per il grande pubblico cosa rappresenta questa trasmissione?

“Penso che Tutto il Calcio Minuto per Minuto viva e gode di buona salute, anche oggi, grazie dalla geniale intuizione di Guglielmo Moretti, Sergio Zavoli e di Roberto Bortuluzzi. In quel 1960 hanno pensato di inventare questa meravigliosa sequenza di racconti in simultanea. Questa successione possiamo considerarla la prima all-news, ovvero raccontare attraverso delle finestre il calcio e dare la notizia del gol come break news. La radio ha reinventato se stessa e lancia l’idea di raccontare il calcio. La giornata, ad esempio su Radio1, è una all-news, una specie di ‘Tutte le notizie minuto per minuto’. Questa mutazione è stata applicata anche nelle nostra epoca”. 

Dopo tanti anni hai svelato il tifo per la Lazio. Cosa ti ricordi di quel 14 maggio 2000?

LaPresse/ Gian Mattia D’Alberto

“Noi avevamo scelto come campo principale il campo di Perugia dove giocava la Juventus. I bianconeri avevano un punto di vantaggio sulla Lazio e il nostro intuito di giornalisti ci diceva che la Juventus poteva vincere lo scudetto. Tutto si poteva immaginare tranne quella giornata thriller. Ho sempre sostenuto che un narratore romanzi di noir non sarebbe mai stato capace di creare una situazione di grande patos come quella di quel 14 maggio. Il sole, la pioggia, un’ora di pausa con Collina che caparbiamente attendeva che il campo si asciugasse, mentre all’Olimpico la Lazio batteva la Reggina 3-0. E poi al quarto d’ora di gioco ecco l’incredibile gol di Calori che porta in vantaggio il Perugia! Qualcosa di straordinario e di imprevedibile! A distanza di qualche ora, mi dissero che la mia voce era allo Stadio Olimpico insieme a tutti i tifosi, alla squadra e al Presidente Cragnotti. Loro pendevano dalle mia labbra mentre raccontavo la partita tra Perugia-Juventus. Sostanzialmente ho accompagnato i tifosi della Lazio a quello scudetto. Ho cercato di essere equidistante professionalmente, ma ebbi la grande soddisfazione di gridare ‘Lazio Campione d’Italia'”. 

Quale è stata la partita più emozionate che hai commentato?

LaPresse/ Gian Mattia D’Alberto

“Ho avuto la fortuna di raccontare tanti scudetti e mi piace dire che ho cercato di dare passione. So cosa significa per i tifosi vincere uno scudetto dopo una lunga stagione. Ho raccontato tante Champions League in un momento fortunato per l’Italia, quando la Juventus e il Milan arrivano in finale. Ricordo volentieri la finale storica di Champions League nel 2003 quando l’Italia era sul tetto del Mondo. Un grande orgoglio per i tifosi italiani che hanno potuto vedere a Manchester una bellissima finale. Ho raccontato scudetti straordinari e incredibili come quello della Lazio, anche se la cronaca preferita è la finale dei Mondiali di Germania del 2006, quando l’Italia si laureò campione del Mondo. Gridare alla radio ‘Campioni del Mondo’ è qualcosa di grandissimo. Prima di me alla radio solo Niccolò Carosio ed Enrico Ameri hanno potuto farlo. Altri grandissimi radiocronisti come Sandro Ciotti e Bruno Pizzul non sono riusciti a dire quelle bellissime parole. Quindi sono davvero fortunato nell’aver raccontato quella finale”. 

È difficile fare il radiocronista con tutte le nuove tecnologie messa a disposizione?

“È molto difficile perché ovviamente e giustamente siamo sotto controllo da parte di chi ci ascolta. Si narra (una leggenda) che Niccolò Carosio, all’inizio degli anni 30, non potesse essere smentito, perché non c’erano le telecamere. Adesso siamo in tempo reale con le televisioni e se uno spettatore volesse vedere le immagini e ascoltare noi radiocronisti lo può fare. Con l’avvento delle 24 telecamere, diciamo che è cambiato poco e la grande forza del radiocronista sta nel racconto. Non c’è un obbligo del monitor allo stadio quindi siamo dei normali spettatori. Chi ci ascolta ha fiducia in noi e sa che raccontiamo un calcio genuino, un po’ romantico e soprattutto leale. Se non vediamo o non capiamo lo diciamo e se non riusciamo a capire chi ha segnato rettifichiamo dopo. Il pubblico sa bene il lavoro che facciamo e ci vuole bene per questo”. 

La mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali di Russia è stata una pagina orrenda. L’Italia come può risollevarsi?

“Noi italiani siamo abituati storicamente in qualche modo ad individuare e prendercela con dei capri espiatori. Un fallimento così grande come questo, è chiaro che chi ha la responsabilità tecnica e politica dovesse fare un passo indietro. Sono d’accordo che Ventura e Tavecchio abbiano fatto un passo indietro. Ma pensare che gli unici responsabili siano Tavecchio e Ventura, vuol dire non leggere la realtà. Sono convinto che quello avvento a Milano sia cominciato il giorno dopo il trionfo di Berlino, perché non dobbiamo dimenticare che dopo quella bellissima vittoria contro la Francia, non è stato fatto nulla per potenziare il nostro calcio. Nessuna innovazione organizzativa, trovare talenti.. Nei mondiali del 2010 e del 2014 le spedizioni sono state fallimentari, sono mancate intere generazioni. Penso a Totti, Del Piero, Pirlo… non sono stati trovati giocatori all’altezza per sostituirli. Oggi noi paghiamo un prezzo per quello che non si è stati capaci di fare in questi 11 anni. Pensare che la colpa sia di Ventura e Tavecchio non ci darà aiuto per andare avanti. Cosa fare? Mi vengono in mente tre cose semplici: la prima ripartire dai bambini. Nei vivai si insegna solo la tattica. Voglio che i bambini si innamorassero del dribbling, i nostri giocatori non hanno i fondamentali. Non sanno saltare l’uomo, non amano giocare la palla come noi eravamo abituati da bambini perché sono troppo preoccupati a fare le tattiche. Secondo voglio che i club di Serie A dessero maggiore importanza alla Nazionale e non la vedessero come fastidio. Vorrei che il calcio italiano capisse l’importanza della Nazionale e non pensasse solo agli interessi economici dei club. Terzo vorrei che i procuratori di calcio proponessero calciatori italiani. Molti di loro sono più bravi degli stranieri che vengono proposti per ragioni economiche, ma che non sono all’altezza del nostro campionato. Io sono favorevole ovviamente all’arrivo di giocatori stranieri, non voglio barriere, muri o tetti, ma solo buon senso perché voglio promuovere atleti italiani meritevoli. Gli stranieri che giungono nel nostro campionato, alcuni non sono proprio forti. Purtroppo molti club spingono verso questa direzione lasciando dei validi giocatori fuori dalle squadre più forti. Vorrei che i procuratori promuovessero i giocatori italiani, senza però non permettere agli stranieri di non giocare”.

Ti ha sorpreso l’esonero di Vincenzo Montella?

“No non mi ha sorpreso. Purtroppo questa è la regola del calcio: se vai male pagano gli allenatori. Sono convinto che Montella non abbia tutte le colpe dell’avvio non vincente della squadra rossonera. Sono convinto che le responsabilità siano tante, suddivisibili e condivisibili da altri. Montella però è il terminale: non è riuscito a far girare la squadra, ma soprattutto non è riuscito a farla vincere. Ha cercato di insegnare il suo concetto di calcio,  il gioco della squadra era gradevole, purtroppo il grande problema del Milan è che non riesce a segnare. Speriamo adesso che Gattuso riesca a dare maggiore concretezza al Milan. Però l’esonero non mi ha sorpreso, ma non sono d’accordo che Montella sia riuscito a fare tutto quello che era possibile. Auguro a Gattuso maggiore fortuna, ma se il Milan non entrerà in Champions League la responsabilità non è di Montella o di Gattuso”. 

Oltre al calcio di quale sport sei appassionato?

“La scherma è uno sport che mi appassiona. Sono grato ai miei capi per avermi fatto sperimentare altri campi come l’atletica leggera, uno sport straordinario che ha molte discipline. Ho avuto la fortuna di raccontare in l’atletica leggera in televisione grazie alla RAI alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992. Ho fatto anche radiocronache di canottaggio ai tempi dei fratelli Abbagnale, quando in televisione avevamo il vocione di Giampiero Galeazzi. Ho raccontato nel 1983 e nel 1984 la scherma. Ho raccontato alla mia prima Olimpiade, quella di Los Angeles, la medaglia d’oro di Mario Numa nel fioretto maschile. Quando mi fu assegnata la scherma, per paura di non essere all’altezza, ho preso delle lezioni in una sala romana per comprendere questo sport molto delicato. Amo davvero tanto la scherma!”. 

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