Joey Dunlop: un pilota romantico d’altri tempi

SportFair

Un vero pilota d’altri tempi Joey Dunlop, schietto e sincero: una leggenda delle due ruote

Indossava un casco giallo. Con una linea linea nera che sembrava attraversarlo e dividerlo in parti uguali. Il suo nome era Joey Dunlop. Una leggenda delle due ruote. Uno di quei motociclisti che oggi non è più possibile ammirare. Uno con la sigaretta ai lati della bocca. Uno che finito di correre si fermava a discutere di moto con i piloti rivali, uno che ai suoi meccanici offriva sempre una birra fresca quando si faceva sera sul circuito. Uno con le palle quadrate. Joey Dunlop è stato “l’ultimo” della vecchia generazione di motociclisti. Quella “romantica”. Quella senza cuffie nelle orecchie, senza beveroni energizzanti sempre in bocca, senza peli sulla lingua.

joey2Ed è stato anche l’ultimo “pilota romantico” a sfidare i “ragazzi” del terzo millennio. Ad armi pari. Senza elettronica. Senza telemetrie. Senza pneumatici invasivi. Solo moto: pura. E olio di gomito. E gas a manetta. E ha sempre vinto. Infatti. Si diceva, di quella generazione romantica di piloti, che portassero con sé un “vento autodistruttivo”, forse per le sigarette fumate e per le troppe bevute che celebravano le vittorie (di qualsiasi tipo).

La realtà era ben altra. La realtà è che per vincere sui circuiti in cui vinceva Joey Dunlop dovevi essere fottutamente presente. Per dominare le moto di quell’epoca (siamo tra i 70 e gli 80), dovevi avere una sensibilità e un’attenzione di molto maggiore ai molti pilotini che cavalcano oggi moto guidate dai box su circuiti ultrasicuri. Commettere un solo errore al TT Race voleva dire, molto spesso, lasciarci le penne. Mica roba da principianti o da fighette. Il coraggio si vede quando c’è la paura. E non vuol dire non sapere cosa sia la paura. O ignorarla. Vuol dire prendere coscienza della propria paura e farsela amica necessaria, per dosare il coraggio ed eliminare l’incoscienza.

JoeyDunlopTT92Piloti come Joey Dunlop, Barry Sheene, Marco Lucchinelli, sapevano anche vivere, oltre a correre in moto. Cosa che oggi sembra non importare più nulla a nessuno. Correre in moto: punto e basta. E vivere? E scherzare? E godersela un po’, questa vita? Forse, guardando ai campioni di un tempo che fu e al loro atteggiamento nei confronti di gare e vita, viene da pensare che il ragionamento di Stoner non sia poi così campato per aria. Del tipo: “ok, mi piace la moto e mi piace gareggiare. Lealmente. Ma poi, finisce lì. Deve finire lì. Tutto il resto non mi interessa. Io sono un pilota”. Come dargli torto, in effetti? Indossava un casco giallo. Vestiva di pelle. Sapeva vivere, correre, vincere. Amava la moto. Si chiamava Joey Dunlop. Il suo soprannome era “Yer Maun”. Correva a 250 all’ora fra marciapiedi, tombini e muretti a secco. Non gli interessava essere il migliore. Gli piaceva “il viaggio” in moto. Perché è il viaggio che conta. Non l’arrivo.

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