Soldi, audience e sponsor: muore il Giro d’Italia, vince la tv

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Ganna, Coppi, Bartali, Pantani e Nibali? No adesso è il denaro a reclamare il gradino più alto del podio del Giro d’Italia

Su quelle due ruote si costruisce la propria fama, si sfiorano e si centrano le imprese, su quelle due ruote a volte si costruisce una leggenda. Chiedetelo ad un ciclista cosa vuol dire macinare chilometri su uno scomodo sellino e affrontare salite, sempre più ripide, con la sola forza delle gambe. Vi risponderà in un unico modo: E’ bellissimo! E’ una passione che bisogna sentire dentro, è un fuoco che deve ardere nell’animo e che ti consente di non avvertire la fatica, perché tagliare quel traguardo davanti a tutti rappresenta qualcosa di più, qualcosa che lo sforzo non può scalfire.

logoL’Italia celebra il ciclismo con numerose manifestazioni, ma una sola incarna l’essenza di questo sport: Il Giro d’Italia. Siamo nel 1908 e la Gazzetta dello Sport annuncia la nascita del Giro con una nota inserita tra le pagine del quotidiano, garantendo un premio di 25.000 lire al vincitore di quella che, seconda la “rosa”, diventerà una delle prove più ambite del panorama ciclistico internazionale.

luigi-ganna La prima edizione va in scena il 13 maggio 1909 e a portarla a casa è Luigi Ganna, che passa alla storia come il primo vincitore del Giro d’Italia. La corsa a tappe italiana, con il passare degli anni, inizia a ricevere sempre maggiore considerazione, sia dai ciclisti più forti in circolazione, sia dai media che cominciano a mettere in risalto quelle che sono le grandi sfide che le due ruote regalano. Coppi-Bartali è quella più bella ed affascinante, due ciclisti che segnano un epoca, l’epoca d’oro tra il 1931 e il 1955, e che lanciano il ciclismo nell’olimpo dello sport italiano. Il traguardo di Milano, scelto fin dall’inizio perché sede della Gazzetta dello Sport, incarna l’inizio del mito per ogni corridore che arriva tra le strade meneghine con in tasca la corona del vincitore. Salire su quel podio vuol dire essere il migliore, il migliore d’Italia. Tra il 1956 e il 1978 va inscena il dominio straniero. Gli anni ’80 lanciano alla ribalta il dualismo Saronni-Moser, tra cui si insinua il terzo incomodo Hinault, capace di partecipare a tre giri vincendoli tutti. Nel 1998 nasce la leggenda del “pirata” Pantani, bis storico per il ciclista cesenate che, nel giro di pochi mesi, si porta a casa Giro e Tour de France.

LaPresse/MARCO MERLINI
LaPresse/MARCO MERLINI

Con l’inizio del nuovo millennio, si accresce maggiormente l’interesse intorno alla corsa a tappe tricolore, il marketing inizia ad avvolgere con i propri tentacoli tutto ciò che ruota intorno al Giro, e l’aspetto economico comincia a incalzare l’aspetto prettamente sportivo. La scelta delle tappe che compongono il giro non prende più in considerazione la difficoltà e la bellezza dei luoghi italiani, bensì i soldi che quelle città possono offrire per ospitare il passaggio dei ciclisti più forti d’Italia. Anche la città di partenza cambia in virtù delle offerte economiche più vantaggiose. Si arriva anche all’estero, una specie di oltraggio ricordando il patriottismo su cui erano incentrati i primi giri. Il Dio denaro ormai governa lo sport, nulla si muove se non è Lui a stabilirlo. La visibilità televisiva diventa più importante di vedere sul podio di Milano un ciclista italiano che porti in alto il tricolore, la battaglia tra audience e sponsorizzazioni diventa più avvincente di un gomito a gomito sullo Zoncolan. Tutto questo nell’era del web, dove si preferisce che la gente stia a casa davanti alla tv per guardare i propri beniamini, piuttosto che applaudirli ed incitarli sulle strade di tutta l’Italia, per quella che sarebbe la morte del ciclismo. Purtroppo va così, in un mondo dove sport ormai fa rima con denaro, rimane poco spazio per le storie e per le vittorie, per le imprese e per i trionfi, rimane poco spazio per la competizione che invece dovrebbe essere ciò che, nel panorama sportivo, dovrebbe “mover il sol e le altre stelle“.

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