Roma1960-La leggenda “Cassius Clay” ha inizio: un faro nella nebbia

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Aneddoti di una vita dedicata all’arte del pugilato e a sostegno dell’uguaglianza tecnica, questo è Clay-Ali

Muhammad Ali si chiama ancora Cassius Marcellus Clay. Sfida a Roma, finale olimpica del 1960, Zbigniew Pietrzykowski. Gareggia per gli USA e vince la medaglia d’oro. Tutto potrebbe essere scritto in queste poche parole, in queste tre semplici frasi. Qui comincia la leggenda, signore e signori. Proprio in Italia, proprio a Roma, città Santa, proprio durante una finale Olimpica. Cassius Clay ha 18 anni. Due gambe lunghe che lo aiutano a muoversi con eleganza sul ring e una tecnica pugilistica ancora da affinare. I suoi colpi sono sicuramente precisi, arrivano in anticipo e, quando portati in serie, fanno male. Eppure, come è logico che sia, il Cassius di Roma è ben lungi dall’essere quel pugile che oggi viene definito “the greatest”, il più grande. Ma è proprio da qui che parte la sua leggenda. Proprio da questa vittoria. Al suo ritorno in patria, Clay, già grande esperto nello sfruttare al massimo i media, utilizza giornali e televisioni per comunicare al mondo intero che Cassius Clay è arrivato. E lo fa subito col botto: annuncia ai microfoni e ai taccuini che ha buttato la sua medaglia d’oro vinta nella finale di roma nel fiume Ohio. Perché? Perché non ha senso vincere e conservare una medaglia d’oro vinta per un paese che impedisce a un “negro” di entrare in un ristorante. Iniziano qui le proteste e gli slogan di Cassius-Ali. D’altronde, il suo sport, gli facilita il lavoro.

Il pugilato è, in quegli anni, riserva recintata per irlandesi, emigrati italiani e uomini di colore. Per uno come lui, impegnato costantemente, vita e lavoro, nella importante battaglia per l’uguaglianza etnica, essere un campione di pugilato equivale ad essere come un faro nella nebbia. E la sua voce si fa sentire, alta. Vince dunque l’Olimpiade a Roma, torna, e, da campione, annuncia di avere gettato la medaglia nel fiume, provocando gli USA da nero vincitore che, seppur campione, non ha gli stessi diritti dei bianchi. La leggenda inizia con questa medaglia. E prosegue qualche anno dopo, quando, dopo avere battuto Sonny Liston, e detenendo quindi il titolo mondiale dei pesi massimi, nel 1967 si rifiuta di partire per il Vietnam, rispondendo così ai vari giornalisti che gli chiedono la ragione della sua scelta: “nessun Vietcong mi ha mai chiamato negro!” i combattimenti di Cassius diventeranno poi i combattimenti di Muhammad Ali, e le battaglie combattute diventeranno sempre più dure e aspre. Anche se il combattimento più bello di Clay- Ali ebbe luogo in un’aula universitaria. Alla Harvard seniorclass. Ali stava tenendo una specie di lezione, dovuta alla sua fama mondiale. 1000 o 2000 studenti. Ali sapeva che tutti quegli studenti sarebbero stati in grado, con le loro parole, di cambiare il mondo. A un certo punto, uno studente si alza e grida ad Ali, forze provocatoriamente: give us a poem. Dicci una poesia. E nel silenzio più totale, questo uomo di colore, di fronte a questi ricchi studenti bianchi, disse dolo 4 lettere, dando vita alla più bella e breve poesia mai sentita: Me, We. Senza ombra di dubbio, il più gran bel colpo mai portato a segno dal pugile Muhammad Ali.

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