Arrigo Sacchi ricorda Pantani: “atleta epico, persona straordinaria. Sue imprese leggendarie. Ed è morto perchè…”

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sacchi _ PantaniLe imprese di Marco Pantani ci hanno riportato alla mente i ricordi di un ciclismo antico, leggendario“. Arrigo Sacchi, ex allenatore del Milan e della Nazionale italiana, condivideva con il ‘Pirata’ le origini romagnole e la passione per le due ruote. “Come l’ho conosciuto? In bicicletta, qualche volta siamo andati a pedalare insieme“, ricorda l’ex tecnico a LaPresse. “Era un ragazzo buono, grande appassionato del suo lavoro, che faceva con impegno e professionalità. Ci fece innamorare tutti. Le sue performance ci hanno esaltato, stimolando antichi ricordi. Marco – prosegue – era un grandissimo campione, ma anche una persona molto alla mano, modesta, buona. Non si atteggiava mai con presunzione, né aveva comportamenti altezzosi“.
Marco PantaniAnche Sacchi, come tantissimi tifosi italiani, compresi quelli poco avvezzi alla bicicletta, rimase folgorato dalle sue imprese. “Ero un grande amante del ciclismo, ma negli anni me ne ero allontanato“, confessa l’ex ct azzurro. “Le imprese di Marco mi riavvicinarono a questo sport. Nel 1998, anno del suo trionfo al Tour de France, io allenavo l’Atletico Madrid, in Spagna. Ricordo una tappa di montagna, il tifo che si scatenava anche tra il pubblico non italiano. Il telecronista che urlava ‘Arriba, arriba el Pirata’. Le sue gesta erano entusiasmanti“. Sacchi parlò con Pantani l’ultima volta a Milano Marittima, un anno e mezzo prima della morte del corridore, il cui corpo fu ritrovato senza vita nella stanza di un residence. Ormai lontani i riflettori e i trionfi, il ‘Pirata’ era un uomo in lotta con i suoi tormenti, i suoi fantasmi. “Provava una grande amarezza, non capiva tanto accanimento nei suoi confronti“, spiega Sacchi. “Si sentiva tradito da alcune persone che non erano state corrette con lui. Sosteneva che era stato accusato di un qualcosa che nel ciclismo facevano tutti, che era quasi una consuetudine“. Dieci anni fa, il giorno dopo la morte del Pirata, Sacchi spiegò che quella tragedia avrebbe dovuto far riflettere tutti. “Mi rivolgevo – chiarisce il tecnico – a chi aveva voluto colpire lui e il ciclismo, causando un danno irreparabile alla sua vita, portandolo a frequentare ambienti non consoni e ad una morte che nessuno si sarebbe mai augurato“. “Il calcio è uno sport di abilità, mentre nel ciclismo – conclude Sacchiserve una grande forza interiore, devi tirare fuori tutto quello che hai dentro. Marco aveva grandissima forza. Ma non ha saputo resistere alla seconda fase, quella del ritorno“.

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