Pantani “doveva morire”: il libro rivelazione di Luca Steffenoni e gli inconfessabili segreti sull’omicidio del Pirata

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“Il Caso Pantani – Doveva Morire”, di Luca Steffenoni: un’inchiesta sulla misteriosa morta del Pirata, ancora oggi etichettata ufficialmente come un suicidio nonostante le evidenze dell’omicidio e l’indefessa battaglia di mamma Tonina

E’ il più bel libro mai scritto su Marco Pantani: “Doveva Morire” s’intitola l’inchiesta realizzata da Luca Steffenoni e pubblicata da Chiarelettere nella collana “Misteri italiani“. Anche se di misterioso, la vicenda del Pirata, ormai ha solo i contorni: chi è stato a ucciderlo e qualche dettaglio accessorio. Ma non ci sono più dubbi sul fatto che in quella maledetta stanza d’albergo si sia consumato un delitto. Un omicidio, con tanto di ripetute richieste di soccorso da parte di Pantani, purtroppo rimaste inascoltate. Non si sarebbe mai suicidato il Pirata, e Steffenoni nel suo libro-inchiesta ricostruisce, con meticolosità da criminologo navigato, tutti i tasselli che portano ad un’unica, evidente, conclusione: nel giorno di San Valentino del 2004, Pantani è stato ucciso, con violenza e da mano esperta.

Un fatto storico che chiude il cerchio sulla biografia di un campione amatissimo e buono, forse anche troppo. Sincero, genuino, pulito, ingenuo. Aveva appena 34 anni quando è stato ritrovato senza vita in una triste stanza d’albergo di Rimini, nel pieno della sua carriera quanto poteva ancora lottare per vincere le principali competizioni ciclistiche del mondo. Ma era già uscito dalla cresta dell’onda sportiva dopo che a Madonna di Campiglio, nella penultima tappa del Giro d’Italia 1999 che aveva già vinto, fu espulso con l’inganno. La camorra aveva interessi miliardari per le scommesse clandestine e non poteva permettersi che Pantani arrivasse a Milano in maglia Rosa, quindi con la complicità di alcune tra le massime autorità del ciclismo riuscì a manipolare la provetta con il sangue del Pirata per espellerlo dal Giro senza dovergli sparare per strada. Era rimasta quella l’unica soluzione per fermarlo, e proprio la complicità di alcune tra le più alte cariche ciclistiche nazionali e internazionali rese ai delinquenti napoletani la vita facile. Fu anche per loro un’occasione per togliersi tutti i sassolini dalle scarpe contro un personaggio considerato scomodo per la sua autonomia, per la sua personalità e per la sua schiettezza. Era uno tutto d’un pezzo, Pantani. Non si piegava ai poteri forti, allo strapotere economico, ai bluff. E quella di Madonna di Campiglio fu una grande truffa, su cui Pantani cercò la verità fino alla fine. E probabilmente per questo venne eliminato. Prima delegittimato, poi isolato. Infine ucciso. “Doveva morire“, come spiega Steffenoni.

L’inchiesta riporta dati e testimonianze inedite, ricostruisce la verità storica ripercorrendo gli ultimi anni, gli ultimi mesi e gli ultimi giorni di Pantani come mai nessuno aveva fatto prima, in un crescendo d’intensità e di dettagli che rappresentano evidenze investigative chiarissime. Sono 160 pagine che si leggono tutte d’un fiato, col batticuore.

Nel libro di Luca Steffenoni c’è la verità su Pantani, la verità sportiva e anche quella della vita privata. C’è il verbale d’autopsia, che viene testualmente riportato nell’ultima pagina del volume: “nel midollo osseo di Marco Pantani non si evidenziano tracce di eritropoietina“. Significa che nonostante le ombre e i dubbi gettatigli addosso dai soliti detrattori, Pantani era pulito. Non si era mai dopato, le sue straordinarie vittorie che avevano emozionato milioni di persone in tutto il mondo erano sane, pulite, genuine, all’insegna dei più nobili valori dello sport, mentre intorno a Marco c’era il marcio ovunque. Il Pirata era costretto a combattere con i dopati e finì alla gogna accusato di doping (!!!), proprio lui che neanche lo conosceva. Ma l’Italia e il mondo hanno preferito osannare altri vili traditori, e così Marco è stato braccato, è rimasto da solo ed è stato ammazzato in una stanza d’albergo quand’era ancora giovanissimo e zeppo di belle speranze.

Sarebbe il minimo, adesso, restituirgli il Giro 1999 e ridare a mamma Tonina la dignità che cerca invano da quasi venti anni: la verità storica anche in forma ufficiale. Ma per questo è ormai troppo tardi, e Steffenoni lo scrive in modo brillante centrando il problema: la Procura non può smentire se stessa. E allora al diavolo la verità, vuoi mettere se la testardaggine di una mamma rompipalle possa valere la carriera di qualche magistrato?

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