NBA – Trash talking, cattiveria e talento: Kevin Garnett, il ‘Bambino’ diventato ‘The Big Ticket’ [FOTO]

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Kevin Karnett dice addio all’NBA. Ripercorriamo insieme le sua storia fatta di cattveria, follia e tanto, tanto talento

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Avete presente il bullo che vi terrorizzava da piccoli? Andiamo, tutti ne hanno avuto uno, quel ragazzino che era alto il doppio di te, grosso il doppio di te, che rispetta le regole imposte da se stesso, fastidioso e violento, a limite della cattiveria. Bene, anche l’NBA ha avuto il suo ‘bullo’, amato da tifosi e compagni, odiato da ogni avversario. Il personaggio in questione è Kevin Garnett. Precisiamo: un bullo da parquet. Fuori dalla partita, KG ha sempre ‘fatto il bravo’. In campo però i suoi avversari non possono dire lo stesso.

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Come se non bastasse un talento straordinario (scollinati i 25.000 punti e 5000 assist in carriera), delle doti fisiche e atletiche fuori dal comune (non li fai oltre 10.000 rimbalzi in carriera per caso), Kevin sapeva come farsi odiare. Chiedere a Dwight Howard che si prese una pallonata nella schiena e una testata dopo una ‘discussione’, nel bel mezzo di una partita, su chi avesse più convocazioni all’ All Star Game. Kevin delle sue 15 ne va fiero. Un avversario che non avresti mai voluto trovarti davanti, sia in difesa, fastidioso come pochi, celebre il soffio nell’orecchio di David West che perse le staffe e subì un tecnico per aver reagito; quanto in attacco, con Noah che in marcatura riuscì a evitare due morsi (avete letto bene, diciamo che non andarono a segno…) usati per provare a divincolarsi.

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A tutto ciò si aggiunge un innato ‘talento’ nel trash talking, l’arte di far innervosire l’avversario insultandolo. Sono due gli episodi più eclatanti: l’aver chiamato Charlie Villanuevapaziente malato di Cancro”, precisato poi dallo stesso Garnett in “cancerogeno per la sua squadra e per la lega” e l’aver augurato durante un match a Tim Duncanbuona festa della mamma‘ (indiscrezione mai confermata nè smentita), essendo a conoscenza del fatto che la madre di Duncan morì quando aveva 14 anni.

Kevin Garnett (3)Averlo in squadra però, era tutta un altra musica: lo sanno i Timberwolves che lo presero a 19 anni direttamente dall’ High School, niente college, bruciava le tappe ‘The Kid’ – ‘Il Ragazzino’, con i quali firmò il record della franchigia (58-24), portando la squadra in Finale di Conference nel 2004, dopo 7 anni di eliminazioni al primo turno. Il suo passaggio a Boston però segnò l’apice della sua carriera. Tanto per rimarcare il valore del giocatore, i Timberwolves lo lasciano andar via in cambio di 7 giocatori: Al Jefferson, Ryan Gomes, Sebastian Telfair, Gerald Green, Theo Ratliff, premi in denaro, la prima scelta di Boston nel primo giro del draft 2009 e la prima scelta di Minnesota del primo giro del draft 2009, che era stata ottenuta da Boston nello scambio Ricky Davis-Wally Szczerbiak del 2006.

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Ai Celtics formò un trio devastante con Pierce e Allen (senza dimenticarci di Rondo!), dominando ogni contrasto, ogni rimbalzo, in difesa come in attacco. Un mostro per gli avversari, una trascinatore per i compagni: indimenticabile l’immagine di Big Baby Davis (206 cm per 131 kg) in lacrime dopo un rimprovero di Garnett nel match contro i Blazers del 2008, così come la scenata delle flessioni in stile militare, dopo essere stato messo al tappeto con un fallo contro gli Heat nel 2012. In maglia verde KG coronò il sogno dell’anello: sconfitti i Lakers nella finale del 2008, 22 anni dopo l’ultima volta.

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Dopo i Celtics la parabola ai Nets non fu molto esaltante, così come il ritorno ai Timberwolves. Nell’ultima stagione a Minnesota, quella dell’ultimo ticket per vedere ‘Il Bigliettone’, è stato fondamentale però il suo ruolo da chioccia, per far crescere i giovani Timberwolwes, fra i quali figura quel Karl Anthony-Towns che tutti sperano possa ripercorrere le sue orme.

Kevin Garnett (4)Ieri notte, Kevin Garnett ha detto basta. L’ala grande di Greenville, ormai 40enne a pochi giorni del training camp di quella che sarebbe stata la sua 22esima stagione in NBA ha deciso di ritirarsi. Dopo Kobe e Tim Duncan, un’ altra leggenda lascia il parquet: il ‘Ragazzino’ si è fatto uomo e a suon di cattiveria e battaglie ha lasciato il suo sporco segno nella storia NBA, un personaggio di cui sentiremo la mancanza. Magari gli avversari un po’ meno… Good Bye KG.

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