Depressione, paura, rabbia. I fantasmi che hanno bussato alla porta di Michael Phelps durante il lockdown

Michael Phelps racconta la sua convivenza con i problemi di salute mentale che lo accompagnano da tempo: una dura prova conviverci durante il lockdown dovuto all'emergenza Coronavirus

SportFair

Un salto dal blocco, giù sott’acqua. Lì è tutto ovattato, il mondo e il suo caos di rumori resta in superficie.  Michael Phelps questa sensazione l’ha vissuta infinite volte nella sua carriera da nuotatore, lo aiutava a far tornare il sereno nella sua testa. Poi di colpo la risalita, il ‘Proiettile di Baltimora‘ che sfreccia verso l’ennesima vittoria e i riflettori della gloria. La parte più oscura di Phelps, quella che nessuno ha mai visto, è venuta fuori nel 2016. Ma c’è una parte, quella che resta in ombra, che Phelps non è riuscito più a tenere nascosta. Alla vigilia delle Olimpiadi di Rio 2016, evento clou per l’atleta più decorato della storia, il nuotatore americano ha annunciato di avere disturbi mentali legati alla depressione. Una condizione che non sparisce nemmeno con 23 medaglie d’oro.

Michael Phelps
Foto Getty / Al Bello

“La verità è che non si guarisce mai”. Lo ha ammesso lo stesso Phelps ad ESPN, mostrando il solito sorriso che cela quella vena di malinconia che gli abbiamo sempre visto sfoggiare. Stati d’animo, ansie e paure accentuate dal lockdown forzato dalla pandemia di Coronavirus: “la pandemia è uno dei momenti più spaventosi della mia vita. Sono grato che io e la mia famiglia stiamo bene e che non abbiamo problemi a pagare le bollette o a portare il cibo in tavola come accade a moltissime persone in questo momento. Però sto lottando con il mio stato d’animo. È stato un mese di alti e bassi. Prima dell’Olimpiade di Rio ho condiviso pubblicamente i miei problemi di salute mentale e questo mi ha tolto un grosso peso. Ho dovuto ammettere che non ero perfetto e mi sono aperto. Ora lo faccio ancora, voglio che la gente sappia che non è sola. Molti di noi stanno combattendo contro i loro demoni in un momento come questo. La verità è che non finisce mai . Hai giorni buoni e giorni cattivi ma non c’è un momento in cui finisce. Ho fatto così tante interviste dopo Rio in cui la storia era sempre la stessa: Phelps rivela la sua depressione, va in cura, vince altri ori e ora va tutto bene. Mi piacerebbe che fosse così facile ma è la visione di chi non sa che cosa sia un disturbo mentale. E, per essere sinceri, i media hanno grosse responsabilità. Mi hanno trascinato nella polvere per tutto quello di sbagliato che ho fatto, e ho fatto parecchio. Me ne assumo la responsabilità. Mi hanno aiutato e ho finito bene la mia carriera così la soluzione è rimettermi sul piedistallo ma la realtà è: non sarò mai guarito“.

Michael Phelps
Foto Getty / Clive Rose

L’uomo dei record, un ragazzone che sfiora i 2 metri, le cui imprese sono leggenda nella storia dello sport americano, ha ammesso di essere fragile con una naturalezza disarmante. Preda di dubbi, costretto a gareggiare contro la sensazione di inutilità che lo ha afflitto, Phelps è arrivato addirittura ad ammettere, a volte, di non voler essere se stesso: “la pandemia è stata una sfida che non mi aspettavo. Tutta l’incertezza, essere chiusi in casa e le domande: quando finirà? Come sarà la vita dopo? Sto facendo tutto quello che posso per stare al sicuro? La mia famiglia è al sicuro? Mi fa diventare matto, ero abituato a viaggiare, incontrare gente. Mi sento sempre al limite, ci sono momenti in cui mi sento assolutamente inutile, ma c’è questa rabbia che affiora alla superficie. Se devo essere onesto più di una volta mi sono messo a urlare. A volte ho questa sensazione di non riuscire a gestire più questa situazione. È quasi come quella scena in ‘The Last Dance’ in cui Jordan e sulla poltrona, fuma un sigaro ed è ‘finito, stop’, non può più andare oltre. Ci sono momenti in cui non vorrei essere me stesso“.

Michael Phelps
Foto Getty / Dia Dipasupil

Toc Toc. Bussano alla porta quei fantasmi che speravi fossero andati via per non tornare mai più. Poi la luce, inaspettata, nell’abbraccio del figlio di 4 anni: la forza per una bracciata in più, l’ultimo respiro per non annegare. La volontà di aiutare chiunque sia nelle sue stesse condizioni: “quando le cose diventano veramente brutte ho bisogno di isolarmi. Non voglio che i miei figli mi vedano così. In quei momenti, quando penso che non può andare peggio, Boomer, che ha 4 anni, a volte viene mi abbraccia e mi dice che mi vuole bene, quando meno me lo aspetto. È fantastico. […] Qualche anno fa ho aderito a Talkspace, una compagnia che dà accesso a un terapista in qualunque momento ne abbia bisogno. Mi ha aiutato moltissimo, mi ha letteralmente salvato la vita. Non si può affrontare tutto da soli e bisogna chiedere aiuto. Ho donato 500 ore di Talkspace al personale sanitario che sta affrontando l’emergenza, sono i nostri eroi. Non bisogna nascondersi, stiamo arrivando finalmente a un punto in cui capiamo che la salute mentale è una questione di vita e di morte“.

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