Coronavirus, Gabbiadini racconta la sua esperienza: “non so come mi sia ammalato, ma c’è una cosa che mi tormenta”

L'attaccante della Sampdoria ha raccontato la sua esperienza, mettendo in guardia tutti coloro che ancora sottovalutano il Coronavirus

SportFair

E’ stato il secondo giocatore di Serie A ad essere stato contagiato, Manolo Gabbiadini non credeva alle sue orecchie quando il medico della Samp gli ha comunicato la sua positività al Coronavirus.

De Paoli
Foto Getty / Paolo Rattini

Pochi sintomi e nient’altro per l’attaccante della Samp, che ha voluto però mettere in chiaro alcune cose ai microfoni della Gazzetta dello Sport: “ho sentito un po’ di febbre la sera di martedì 10, ma non ho pensato al virus. Quella notte ho dormito male, mi sono svegliato spesso e al mattino mi girava la testa ma non ero caldo. Ho misurato la febbre solo per scrupolo e avevo 37,5. Ho chiamato il dottor Baldari della Samp, ma anche in questo caso non ho pensato al virus. Martina, mia moglie, mi ha però suggerito di chiedere il tampone: a casa abbiamo due bimbi piccoli. Il dottore è venuto a farlo e ci siamo dati appuntamento al giorno dopo. Giovedì stavo benissimo, era passata la febbre. Alle 15 mi ha chiamato il dottore per dirmi che ero positivo”.

Sampdoria
Paolo Rattini/Getty Images

Una notizia che Gabbiadini all’inizio non ha preso sul serio: “gli ho chiesto se stesse scherzando, anche se era ovvio che fosse serio. Non me l’aspettavo perché la febbre era passata subito. E da quel momento ho cominciato davvero a riflettere sul coronavirus. Se il dottore mi avesse detto di aspettare ancora un giorno prima di decidere se fare il tampone, non gliel’avrei più chiesto visto che mi sentivo molto bene. E magari, pensando di non essere positivo, sarei andato a comprare la frutta sotto casa rischiando di trasmettere il virus a un anziano in modo assolutamente inconsapevole: un pensiero bruttissimo, che mi tormenta. Ho capito che ci sono tanti positivi che nemmeno lo sanno e allora la battaglia si vince solo in un modo: rispettando le direttive e restando a casa. Io non ho competenze politiche o sanitarie, però probabilmente chiudere davvero tutto per quindici giorni sarebbe stato giusto“.

Credits Instagram

Gabbiadini poi si è soffermato su tutti i bergamaschi che soffrono: “sono preoccupato per i miei genitori e per tutti i bergamaschi. Lì davvero non esce nessuno: aprono le finestre e sentono solo ambulanze. I miei genitori stanno bene, sono chiusi in casa, non si muovono. Parlo con loro tutti i giorni, cerchiamo di non perdere mai la serenità. Li ho visti quasi un mese fa l’ultima volta. Ma penso ogni giorno ai medici e a tutte le persone che lavorano in ospedale. È una situazione molto pesante e pericolosa“.

Condividi