A tutto Fognini: “non mi importa delle critiche, ma certi errori non li rifarei…”

Fabio Fognini ha parlato di alcuni aspetti della propria carriera ed ha anche punzecchiato qualche collega reo d'essersi montato presto la testa

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Fabio Fognini è sempre stato un tennista molto focoso all’interno del campo, attirando su di sé anche diverse critiche nel corso della sua carriera. Il tennista azzurro, impegnato in questi giorni nella Coppa Davis, ha raccontato questo ed altri aspetti dell’essere tennista, parlando ai microfoni de La Repubblica.

Sono sereno. A 32 anni posso dire di aver fatto bene a tenere sempre distinti lavoro e famiglia. Ormai le voci, le critiche, non mi disturbano più… Onestamente mi fregavano quand’ero più piccolo. Penso che i media in varie occasioni abbiano cavalcato cose non vere su di me, e questo mi è dispiaciuto. Ormai sono tra i vecchi… fin quando sto bene, e regge la bussola, continuo a giocare. Non è più problema di ranking, che poi sono solo numeri. Mi motiva la voglia, la competizione con le giovani generazioni.

Se sono maturato? Ho fatto la mia strada. Col senno di poi gli errori che ho fatto non li rifarei, come l’aver perso tempo. Ma la vita è così, più si è maturi e più si riesce a capire gli errori del passato. Sarò ricordato per la velocità del braccio? Ma anche per essere stato un po’ una testa calda e un tipo che se la giocava con tutti quando stava al meglio. E, soprattutto, uno che quando c’era la Nazionale ha gettato il cuore oltre l’ostacolo.

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(Photo by Quinn Rooney/Getty Images)

Credo che questo dovrebbero impararlo anche i ragazzini. La Nazionale è l’apice per un atleta, qualunque sport sia. Questo manca ai giovani. Io sono rimasto me stesso. Mi sono sempre messo a nudo, invece altri tennisti sono cambiati con il successo. Mi mette una tristezza addosso questa cosa, li vedi che cominciano a prendersi troppo sul serio. Okay, sei stato numero 2 del mondo, e allora? La vita è altro: ringrazio il Padreterno, i miei genitori, il tennis. Ma qui stiamo parlando di correre dietro una pallina gialla. Credo che per non cadere nel delirio di onnipotenza bisogna essere sportivamente educati: la sconfitta prima o poi arriva, siamo umani. L’evoluzione l’ho avuta con i bimbi, vittorie e sconfitte sono diventate relative.

Oggi gioco più per loro che per me. E le sconfitte le vivo meglio adesso: è solo una partita di tennis, penso subito ai bimbi e mi ricordo che nessuno è invincibile. L’altra sera avevo la piccola Farah in braccio addormentata e Federico mi chièdeva di accompagnarlo in bagno. Vi risparmio i dettagli. Sì, ho scoperto la vita del papà, è bella ma è molto più dura per la mamma“.

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