Mercoledì prossimo, 17 gennaio, il mondo degli scacchi ricorderà il decennale della morte del mitico Bobby Fischer, avvenuta a Reykjavik in Islanda dove nel 1972 divenne campione del mondo battendo il sovietico Boris Spassky in un match che per oltre due mesi focalizzò l’attenzione del mondo.
Quello di Robert ‘Bobby’ Fischer, il grande campione di scacchi, è un nome mitico anche per chi scacchista non è. Nato il 9 marzo del 1943, a Chicago, figlio del fisico Gerard, ebreo tedesco rifugiatosi in America prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, e di Regina Wender, maestra elementare ebrea di origine svizzera, era il secondogenito della famiglia; la sorella Joan era nata cinque anni prima. Nel 1945 i genitori divorziarono: il padre se ne andò di casa e da allora non se ne seppe più nulla. Bobby, con la madre e la sorella, si trasferì prima a Los Angeles, poi a Phoenix in Arizona e infine a New York, dove si stabilirono nel 1949 e dove Bobby a 7 anni ebbe il primo contatto con la scacchiera, che la sorella gli regala “perché stia buono, e non vada ad oziare con cattive compagnie a Brooklin.” Quando era dodicenne cominciò a frequentare il Manhattan Chess Club e sua madre chiese a Jack Collins di essere il suo insegnante di scacchi. Collins aveva insegnato a diversi grandi giocatori, compresi William Lombardy e Robert Byrne. Dopo la scuola dell’obbligo, Bobby frequentò, abbandonandola dopo un breve periodo, la Erasmus Hall High School, dove molti insegnanti lo ricordavano come una persona difficile. Poi abbandonò la scuola perché, come dichiarò anni dopo al quotidiano spagnolo El Pais “non gli insegnavano l’unica cosa che lo interessasse, gli scacchi”. Il suo primo vero trionfo arrivò nel luglio 1956 quando vinse il campionato juniores statunitense che a quei tempi qualificava per il campionato maggiore. Nello stesso anno giocò diverse partite brillanti, tra cui quella contro il Grande Maestro Internazionale Donald Byrne, una partita passata alla storia come un capolavoro e che fu dichiarata da molti esperti “la partita del secolo” (e immortalata da Roberto Cotroneo nel romanzo ‘Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome’). Fu il più giovane a vincere il campionato assoluto degli Stati Uniti (a 14 anni, poi vinse tutti i campionati USA cui prese parte). All’epoca fu il più giovane in assoluto ad arrivare alla massima categoria di Grande Maestro (titolo conquistato nel 1958, a 15 anni, 6 mesi, 1 giorno) e il più giovane a qualificarsi per il Torneo dei Candidati (selezione per il Mondiale). Dal gioco ricavò ben presto onori, gloria e denaro, che spendeva soprattutto per acquistare scarpe e abiti dai migliori sarti di Londra e New York.
Nel 1965 venne invitato ad andare a giocare a Cuba, ma all’epoca a nessun americano veniva dato il visto. Ma grazie all’interessamento di Che Guevara venne fatto in modo che giocasse da New York mandando le mosse per telescrivente. Arrivò secondo alla pari con Geller e lo jugoslavo Ivkov, dietro a Smyslov. Tornò a giocare per la selezione al mondiale quando la Federazione Internazionale modificò il regolamento nel 1971: non più torneo a girone, ma sfide a eliminazione diretta. Nel primo turno accadde una cosa mai successa prima: Fischer battè il russo Taimanov 6 a 0! Che non fosse stato un caso lo si capì qualche mese dopo, quando Fischer sconfisse, ancora con un clamoroso 6-0, il danese Bent Larsen. A quel punto toccò all’ex campione del mondo Tigran Petrosjan, che in nove partite riuscì ad ottenere tre pareggi e una vittoria. Così Bobby acquisì il diritto di battersi con Boris Spassky per il titolo di campione del mondo! Le vicissitudini del campionato del mondo 1972 giocato a Reykjavik contro Spassky vanno dal rifiuto iniziale di Bobby a giocare, alla telefonata di Henry Kissinger, allora Segretario di Stato per fargli cambiare idea; dalla sconfitta nella prima partita per aver voluto a tutti i costi forzare in posizione pari, alla sconfitta nella seconda, persa a forfait, perché alcune sue richieste non erano state accettate; fino al clamoroso recupero e alla vittoria finale dopo sole 21 delle 24 partite in programma. Poi Fischer rinunciò alla difesa del titolo e lo perse per forfait, non essendo state accolte alcune sue richieste di modifica al regolamento (il titolo fu assegnato senza giocare nel 1975 ad Antolj Karpov). Dopo la vittoria nel mondiale è praticamente scomparso, riapparendo nel 1989 per brevettare l’orologio da gara che porta il suo nome e poi all’improvviso nel 1992 per giocare il “match di rivincita” ancora con Spassky, in Serbia, allora sotto embargo; per questo fu condannato dal Governo americano e non poté più tornare in patria, pena l’arresto. Sparì di nuovo, salvo una breve apparizione nel 1996 a Buenos Aires per lanciare una particolare forma di gioco, il “Fischerandom” (in cui si sorteggia la posizione iniziale dei pezzi, con 960 possibili posizioni di partenza). Il clamoroso colpo di scena il 13 luglio 2004 quando fu arrestato dalla polizia di Tokyo: il suo passaporto era scaduto. Il governo statunitense non lo aveva rinnovato e chiedeva anzi l’estradizione. Passò otto mesi in carcere: si sposò con Miyoko Watai, segretaria della Federazione Scacchistica giapponese, con la quale disse di avere una relazione da molti anni. Alla fine lo salvò il governo Islandese dandogli la cittadinanza nel marzo 2005, per cui potè trasferirsi di nuovo a Reykjavik, dove è morto per problemi renali, avendo rifiutato le cure, il 17 gennaio 2008, e dove è sepolto. A seguito dei problemi legali relativi alla sua eredità, la salma è stata riesumata.
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Orologio Fischer
Nel 1989 l’Ufficio Brevetti degli Stati Uniti ha rilasciato il brevetto n. 4.884.255 per un ‘orologio digitale di scacchi’ a Robert J.Fischer. Questa invenzione riflette alcune idee già espresse da Fischer ai tempi in cui giocava. Da quando nei tornei di scacchi è stato introdotto l’orologio segnatempo, molti giocatori tendono ad utilizzare più tempo nella fase iniziale della partita e sono quindi costretti a giocare le ultime mosse prima del cosiddetto ‘controllo del tempo’ a tutta velocità. Nel gergo scacchistico quando un giocatore ha poco tempo per le ultime mosse si dice, usando un termine tedesco, che è in “zeitnot”. Molte partite sono state rovinate proprio a causa della mancanza di tempo e secondo Fischer questo non è giusto ed è contrario allo spirito del gioco. Con il suo orologio digitale Fischer assicura a chiunque di poter giocare fino all’ultima mossa della partita con un tempo ragionevole: per Fischer dovevano essere due minuti. Negli orologi da scacchi normali quando si preme il pulsante si mette automaticamente in moto l’orologio dell’avversario. Nell’orologio “Fischer”, invece, quando si preme il proprio pulsante non solo si mette in moto l’orologio avversario ma in più sul proprio quadrante le lancette tornano indietro di due minuti: in tal modo si hanno sempre almeno due minuti per mossa. Secondo esperimenti pratici effettuati sui prototipi, partendo da una base di un’ora a testa all’inizio si rispettano gli attuali tempi di riflessione e una partita dura mediamente circa cinque ore. Oggi l’orologio Fischer è usato in quasi tutti i tornei, ma ad ogni mossa il tempo torna indietro di 30 secondi: in questo modo partendo con 1 ora e 40 minuti di base si rispetta il classico ritmo di 40 mosse da giocare in 2 ore.