Deportato nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il pugile polacco Hertzo Haft vince 75 incontri tra i detenuti per poi fuggire in America. La boxe, la sfida a Marciano, le nozze e quell’incontro con l’amata Leah…
Auschwitz-Birkenau vuol dire terrore, vuol dire disperazione, vuol dire morte. Auschwitz-Birkenau significa desolazione, sconfitta e annientamento. Ma Auschwitz-Birkenau a volte, anzi molto raramente, può indicare rinascita. No non siamo pazzi, né tantomeno ubriachi. Non lo pensereste se conosceste la storia di Hertzo Haft, il pugile che mise al tappeto il campo di concentramento più terribile della storia nazista. Nel Giorno della Memoria non può non essere raccontata la storia di questo coraggioso e impavido uomo, nato in Polonia ma di origine ebrea, costretto a conoscere ben presto la crudeltà della vita. Nel giorno in cui la Germania invade la Polonia, i fratelli Haft, insieme ad altri migliaia di polacchi, vengono catturati.
Grazie al suo coraggio, Hertzo riesce a far fuggire il fratello, attirando su di sé l’attenzione delle SS. “Fummo svegliati nel cuore della notte e ammassati in vagoni bestiame – raccontò una volta Hertzo al figlio Alan – Mi sembrò che il viaggio durasse una settimana. Senza niente da mangiare e da bere, in uno spazio minimo pervaso dal tanfo delle nostre feci. Alla fine si sentirono solo i moribondi esalare il loro ultimo respiro sotto i nostri piedi. Dio non esisteva più“. Sceso da quel treno, perde dignità, pudore e umanità. Diventa un semplice numero, 144738 per l’esattezza. Sembra tutto finito, in attesa della propria morte. Che sia gas, fucilazione o deperimento poco importa. Chi va ad Auschwitz è destinato a morire. All’improvviso però un raggio di sole. Un ufficiale delle SS lo prende sotto la sua protezione e lo convince a boxare. “Hai il fisico, provaci. Può essere la tua salvezza“. Hertzo ci prova. Nei campi di concentramento si è soliti organizzare combattimenti tra i detenuti: chi vince continua a battersi, chi perde muore. Senza vie di mezzo. “La boxe, nei lager, era una lotta all’ultimo sangue, uno spettacolo di puro sadismo” racconta ancora Alan, riportando le parole del padre. Hertzo è violento, truce, cattivo. Sa che vincere significa continuare a vivere, sa che mettere k.o. gli altri vuol dire sperare di rivedere la sua amata Leah, e per questo vince. Mette al tappeto 75 avversari, condannandoli, suo malgrado, alla morte. Diventa così la “belva giudea“, una macchina che non conosce ostacoli.
Tuttavia l’occasione per fuggire gli si materializza davanti. Ruba l’uniforme ad un ufficiale nazista assassinato e sfrutta la garanzia di uno zio americano per sbarcare negli USA. Siamo nel 1948, Hertzo torna a vivere. L’obiettivo adesso è uno solo, ritrovare la sua amata Leah e la strada può essere una sola: diventare famoso con la boxe. Combatte, vince finché non si guadagna la grande sfida contro la leggenda Rocky Marciano. E’ il 18 luglio del 1949, Auditorium di Rhode Islands, nello spogliatoio di Hertzo si presentano tre tipi poco raccomandabili, tre esponenti di un clan di spicco della mafia americana: “Sarebbe meglio per lui che si buttasse a terra al primo round” intimano al manager. Marciano vince per knock out, casualità? La storia di Hertzo Haft e il ring finisce qui. La vita dell’ex pugile polacco invece inizia. Si sposa, ha tre figli, tra cui Alan, e poi realizza il suo sogno: incontrare di nuovo Leah. Ma ciò che scopre lo getta nello sconforto. Lei è malata terminale di cancro, la felicità di riabbracciarla si trasforma subito in dolore. Questo, ahilui, è il filo conduttore della vita di Hertzo Haft, il dolore. Il campo di concentramento, il sangue, la disperazione, la rinascita e di nuovo quel dolore che affiora per la perdita di una persona significativa della sua gioventù. La vita è una filo sottile che basta poco per essere reciso, Hertzo ha conosciuto la paura e l’ha sconfitta, Hertzo ha preso a pugni e battuto tutti coloro che, quel filo, brandendo una forbice, minacciavano di reciderlo. Hertzo ha vinto, Hertzo è un sopravvissuto che ha preso per mano la propria vita e ne ha fatto una storia da raccontare.