Ciclismo, il toccante ricordo di Valerio Capsoni per il grande Marco Pantani

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Valerio Capsoni ha voluto ricordare su Facebook le gesta di Marco Pantani, nel giorno del suo compleanno

Valerio Capsoni è uno scrittore e cicloamatore molto esperto e oggi sul proprio profilo Facebook ha voluto ricordare le gesta del campione Marco Pantani, nel giorno del suo compleanno. Oggi infatti il Pirata avrebbe compiuto 47 anni e le sue gesta sono ancora impresse nella memoria del ciclismo moderno.

marco pantaniLo so, sgombriamo il campo da equivoci. Il mondo del ciclismo professionistico è stato guardato da tanti con il sospetto, per non dire la certezza, che lo spettacolo di grandi corse come il Giro o il Tour, la Roubaix e il Fiandre, sia stato falsato e distorto. Lo si è pensato da quel lontano 1998, l’anno dell’affaire Festina, l’anno del Tour di Marco Pantani. Già, Marco Pantani. Oggi è un trionfo di foto, ricordi, dediche, chi gli vuole ancora bene, chi pensa che fosse dopato come tutti gli altri. Ebbene, io voglio dire la mia. Voglio parlare di emozioni però, dell’emozione di ciò che ancora oggi mi fa pensare quanto sia bello il ciclismo, e cosa me lo ha fatto amare sin dal primo momento: le tappe di montagna. Da bambino guardo in televisione i Giri con Moser e Saronni, aspetto i tapponi dolomitici, e stento a credere ai miei occhi davanti alla meraviglia delle nostre montagne. Mi piace guardare lo sport, mi piace praticarlo, stare all’aria aperta. Da ragazzino prima provo col tennis, poi col calcio, ma nel frattempo con la mia bici da passeggio monomarcia, la mitica Legnano, mi imbarco nelle prime imprese”.

Marco Pantani (18)“Ricordo i miei primi 60 km. E’ il 1997 e arrivo con le gambe che mi fanno un male terribile, ma l’emozione è grandissima. Siamo all’anno successivo, il 98. Pantani vince Giro e Tour, il ciclismo scopre il vaso di pandora del doping, ma si pensa ancora che sia un fatto di pochi, che la maggiorparte dei ciclisti vadano su con le loro forze. E Marco mi fa emozionare, come nessuno aveva fatto prima di lui, e come nessuno farà dopo di lui, prima dell’arrivo di Vincenzo Nibali. L’anno dopo a Madonna di Campiglio la vita di un uomo subisce una svolta definitiva. Innocente per tanti, colpevole per altri. So solo che quando scatta in salita la folla scompare davanti ai miei occhi, il tifo da stadio che poco ha a che spartire con il gesto sublime dello scalatore, e rimane un ciclista e la montagna, l’eterna lotta tra l’uomo e la natura. Va così forte per abbreviare la sua agonia. Marco è un campione, e quando scatta scendono le lacrime dagli occhi. Nel 2000 decido di uscire definitivamente dal recinto dei campi da gioco, e acquisto la mia prima bici da corsa, una Atala. Mi metto il mondo davanti, e lo scopro come prima non avevo mai fatto. Marco prova a continuare a fare la cosa che gli piace fare di più: andare in bici. Si allena per 200 km al giorno per settimane per riprovare a partecipare al Giro, senza aver fatto un solo giorno di gara. All’inizio prende mezz’ora, ma alla fine torna lui, e ricordo sull’Izoard quando con il suo compagno Garzelli stacca Casagrande e la gente a bordo strada si rotola per terra dalla gioia”.

Marco Pantani (16)Va al Tour, e per due volte lotta a viso aperto con l’Americano, che sul Ventoux dice di lasciargli la vittoria, e a Courchevel sparisce. E’ sesto in classifica, nell’ultima tappa di montagna tenta di far saltare il banco, e alla fine si ritira. Poi inizia la discesa, definitiva. Nel 2003 per la prima volta vedo dal vivo il Giro d’Italia, nella tappa Messina-Catania. Risalgo dal versante opposto la marcia dei corridori il GPM di Sella Mandrazzi, attendo il passaggio della corsa, e finalmente lo vedo. L’unica volta in vita mia in cui ho visto Marco Pantani di persona, pochi mesi prima della sua morte. Il 14 febbraio 2004 durante una sosta al bar in uno dei miei allenamenti trovo un giornale aperto su un tavolino. E’ morto”.

Marco Pantani (12)“Da allora ho percorso decine di migliaia di chilometri in bici, e mi piace pensare di averlo fatto anche per tutti coloro che non lo possono più fare, anche per Marco, che è colui che in fondo mi spinse a provare a salire su una bici da corsa. Oggi guardo la fatica dei corridori e penso che il ciclismo è più grande dei suoi protagonisti. Pochi di loro sono stati più grandi dello sport stesso, e a posteriori possiamo dire tutto, ma nell’immaginario figure come Coppi e Pantani sono l’immagine stessa del ciclismo come il Tourmalet, il Galibier o il Pordoi. L’uno è funzionale all’altro. Due anni fa ho scalato l’Izoard, e sulla Casse Deserte, passando davanti al monumento di Coppi e Bobet, ho immaginato un omino pelato che su asfaltatore ha lasciato il suo ricordo. Qualche anno fa sul Mortirolo Marco mi sorrise, e da quel momento la salita mi sembrò meno terribile. Sul Fauniera troverò l’altro suo monumento che si trova sul nostro territorio nazionale. Possiamo dire tutto e il contrario di tutto, ma nel mio ciclismo Pantani ha un posto importante. Ciao Marco”.

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