La cattiveria associata ai più classici “colpi di testa” ha dato vita negli anni a innumerevoli giocatori di calcio che ricordiamo, non tanto per le caratteristiche tecniche, ma per le folli gesta collezionate durante il loro percorso professionistico
Negli ultimi tempi si è parlato molto del cosiddetto “Cartellino Verde”, un accessorio in più nelle mani del Signor arbitro che, secondo gli esperti, oltre a quello giallo e rosso, dovrebbe premiare e valorizzare il così tanto lodato fair play in campo. Da qualche mese la Lega calcio ha adottato quest’iniziativa che è solo il primo passo di un progetto più ampio che pone l’obiettivo di riportare sempre più al centro dell’attenzione tematiche sensibili e premiare i comportamenti dei più buoni che si distingueranno per gesti distinti o per atti sportivi di fair play straordinari.
Fair-play significa rispettare le regole e l’avversario, accettare e riconoscere i propri limiti, sapere che i risultati sportivi ottenuti sono correlati all’impegno profuso. Tuttavia il concetto di fair play non si esaurisce nel semplice rispetto delle regole. Esso, infatti, promuove valori, tanto importanti nella vita quanto nello sport, come l’amicizia, il rispetto e lo spirito di gruppo. Certamente non basterà ciò a modificare alcuni vizi e atteggiamenti radicati nella profonda cultura del calcio; una cultura legata all’agonismo, alla competizione e alla logica del risultato. La lealtà nello sport – o fair play – è benefica per l’individuo, per le organizzazioni e per la società sportiva, tanto che, gli atleti sono per molti giovani dei modelli di riferimento e svolgono un ruolo di grande responsabilità sociale. Il calcio è però da sempre uno sport che offre un’opportunità sociale per tutti.
Uno sport per tutti ma al cartellino verde avremmo preferito una sanzione pesante a chi invece simula o abbia comportamenti da furbetto. Il “simulatore” dovrebbe essere punito severamente in tal modo che la slealtà possa essere ulteriormente messa in risalto come esempio negativo da penalizzare più di quanto non lo sia attualmente.
Ma non è sul fair play nè su i colori dei cartellini che vogliamo soffermarci oggi, bensì su coloro che nel calcio oltre la tecnica, la fisicità e il carattere hanno avuto quella peculiarità , nel bene o nel male, che li ha contraddistinti: la cattiveria. La cattiveria che non va confusa con la cattiveria agonistica che accomuna la maggior parte degli atleti bensì quel tratto caratteriale ostile, spietato e feroce che associata ai più classici “colpi di testa” ha dato vita negli anni a innumerevoli giocatori che ricordiamo non sicuramente per le caratteristiche tecniche ma soprattutto per le folli gesta collezionate durante il loro percorso agonistico.
Agonismo che accompagna quei bambini che, in cortile o nei campetti di periferia per ottimizzare i risultati o l’ impegno al sacrificio dedicano gran parte del loro tempo all’attività sportiva. Una sorta di formazione che con l’ausilio e la presenza di giuste figure forma i campioni del futuro. Crescere in campo è stato da sempre importante per maturare anche al di fuori del rettangolo di gioco e ci tiene legati sin da piccoli ad alcuni valori come il rispetto, l’ integrità e amicizia e fortifica attraverso docce fredde, schiaffi, sudore, magliette strappate e rimproveri da parte dei genitori. In uno sport di contatto come il calcio non sono mai mancate polemiche, reazioni , sfoghi e altri atteggiamenti aggressivi pronti a delineare il carattere sportivo sin dai primi calci al pallone.
Non bisogna dimenticare che nella storia del calcio quasi ogni squadra ha sempre avuto elementi duri, calcisticamente minacciosi,coloro che fanno il lavoro sporco mentre i compagni inseguono il gol.
Sul campo si sa, si prendono e si danno. C’è chi comincia a darle e non sa più smettere anzi a suon di colpi proibiti costruisce una carriera; le cattive abitudini non tardano così a divenire una peculiare caratteristica e facilmente ritrovarsi coinvolti in parapiglia che degenerano in risse vere e proprie a base di ceffoni, calci, spintoni a volte morsi. Partoriti forse dai cattivi esempi dei più grandi e dagli insegnamenti sbagliati di qualche genitore o semplicemente per carattere: il colore rosso diventa così routine, indica la fine di un attimo, uno sfogo esagerato il culmine dell’ira.
Il cartellino rosso da quel momento segnala quella che è la direzione da seguire: gli spogliatoi….e l’ attesa della prossima espulsione.
Ci siamo permessi grazie ai risultati in campo di delineare quella che sarebbe la squadra più dura di sempre in base alle esperienze, al carattere e ai colpi di testa di questi personaggi, con la viva speranza che i cartellini nel calcio restino sempre di due colori.
«Tutti volevano picchiarmi, ma le hanno sempre prese, grazie alla fama da cattivo sono diventato più bravo di quello che ero: molti mi lasciavano il pallone per paura» sono le parole storiche di Romeo Benetti.
Nella FotoGallery ecco la formazione più fallosa, ovvero la Classifica dei giocatori più cattivi e duri di sempre inclusa la panchina.