Tra esperienza e giovani leve, la retrosia della Nazionale italiana di rugby

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La Nazionale italiana tra giovani promesse e veterani come Mauro Bergamasco e Marco Bortolami

Mauro Bergamasco e Marco Bortolami rimangono nel gruppo dei 37 giocatori scelti da Brunel per preparare la prossima Coppa del Mondo di Rugby che si terrà a settembre in Inghilterra. I due veterani del gruppo vantano insieme 213 caps sui 1163 totali dei 37 azzurri. Un patrimonio rugbystico di esperienza non indifferente al quale Brunel, a quanto pare, non vuole rinunciare.
Il 36enne “Bergamauro” ha da poco ottenuto il record di giocatore più longevo sia della nazionale italiana che del prestigioso 6 Nazioni, 15 anni (esordio nel 6 nazioni 2000), e ora si appresta, nel caso scendesse in campo in Inghilterra, a essere ricordato come l’unico rugbista ad aver giocato ben 5 Rugby World Cup (1999 – 2003 – 2007 – 2011).
Sarà sicuramente un vanto per la Federugby ottenere un record di questo tipo. Consideriamo però che i due potrebbero essere stati confermati solo perché Simone Favaro e George Biagi, avversari di ruolo dei due, hanno lasciato il raduno per problemi fisici.
Sorge quindi spontanea la domanda se in alcuni ruoli il rugby nostrano non abbia la capacità di sfornare giovani di livello da poter inserire in rosa o se invece sia una scelta prettamente tecnica di preferire atleti d’esperienza al posto di forze fresche.
Da una parte l’esperienza di colonne come “Bergamauro” e Bortolami è importante nella formazione e nel consolidamento del gruppo in vista di una competizione così importante. Faranno sicuramente da faro per i nuovi entrati. Dall’altra si dovrà centellinare al meglio i loro sforzi in una competizione così lunga e logorante.
Anche se parte dell’opinione pubblica e degli appassionati si chiede come mai non si sia trovato posto per dei giovani come Marco Barbini o si sia tentato di aspettare più a lungo Simone Favaro e George Biagi, quest’ultimo uno dei nostri migliori giocatori del passato 6 Nazioni.
Senza dubbio il rugby nostrano si distingue per una certa ritrosia nell’ utilizzare e lanciare i giovani talenti ad alto livello mentre all’estero, partendo dal Super Rugby ma anche in Aviva Premiership e Pro12, il processo di inserimento arriva ben prima. Ne abbiamo avuto l’evidenza nel corso dello splendido Mondiale U20 dove per All Blacks, Inghilterra, Sud Africa, Francia (citiamo solo le 4 semifinaliste per brevità) le star sono stati giocatori utilizzati con una certa frequenza nei campionati maggiori.
Il problema non sembra però essere solo del rugby nostrano ma del sistema sport italiano, poco propenso ad investire e scommettere sulle giovani leve che non si sentono così responsabilizzate e faticano a diventare “grandi”… anzi lo diventano con qualche anno di ritardo quando i competitor sono attivi ed esperti da diverse stagioni.

Marco Colautto – Rugbymeet

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