All Blacks, il dilemma del mediano d’apertura: una coperta che è sempre lunga

SportFair

 

La squadra di rugby neozelandese degli All Balcks ha mediani d’apertura a profusione. Com’è possibile ciò? Analizziamone i casi

Nel paese agli antipodi geografici rispetto all’Italia non soffrono assolutamente del problema puramente italiano nel trovare un mediano d’apertura di qualità. Superato il vecchio dualismo tra Andrew Merthens e “King” Carlos Spencer che è andato avanti da metà anni 90 ai primi del 2000, una volta arrivato sua maestà Dan Carter ed ora che la carriera di mr. 1500 punti internazionali volge verso la fine, in Nuova Zelanda vivono del dilemma di chi scegliere come suo erede.

Se facciamo un rapido excursus alla RWC 2011, possiamo ricordare che gli All Blacks hanno fronteggiato l’infortunio del migliore giocatore al mondo proponendo ben 3 rimpiazzi di altissimo livello, Colin Slade, Aaron Cruden e Stephen Donald nel corso della stessa coppa del mondo, vinta peraltro! Inimmaginabile per l’Italia. In quest’occasione, invece, Aaron Cruden, purtroppo, si è infortunato seriamente ed ha dovuto rinunciare alla RWC 2015.

Problemi di scelta? No, Dan Carter (il numero uno assoluto tra le scelte di Steve Hansen) rientrato da un infortunio che lo aveva tenuto fuori per buona parte della stagione ha ripreso i gradi da titolare, pronto a sostituirlo ci sono sicuramente Beauden Barrett (anche lui al rientro), Colin Slade e Lima Sopoaga, fresco campione di Super Rugby con gli Highlanders.

Proprio Sopoaga debutterà da titolare nel Rugby Championship contro il Sud Africa. A questo punto ci chiediamo come sia possibile che la coperta neozelandese in questo specifico e difficile ruolo sia sempre così maledettamente lunga?

La prima risposta è COMPETENZE, non parliamo solamente di skills tecnici ma competenze tecnico tattiche e abitudine a giocare in quella determinata posizione, nonché l’abitudine a prendersi quelle responsabilità insite di quella specifica posizione. La Nuova Zelanda è una fucina di first five eights (la denominazione dell’Emisfero Sud per il ruolo di mediano d’apertura) per come vengono creati e cresciuti i giocatori sin da quando sono in fasce.

Senz’ombra di dubbio la base dalla quale attingere è molto più ampia e l’attività di insegnamento  è più qualificata dal momento che i giocatori in erba vengono cresciuti a pane e skills a partire dal ball handling. Sin dalle giovanili i singoli atleti possono contare su educatori ed allenatori molto preparati che per prima cosa insegnano loro a gestire il pallone, fondamentale per ogni apertura degna di questo nome. Per poi passare alla gestione dello spazio e del campo, cioè dove e come attaccare la linea e la squadra avversaria. Infine si sviluppa il gioco al piede che è fondamentale per conquistare velocemente territorio e/o alleviare la pressione avversaria.

Ai singoli giocatori nelle rispettive fasce di età sono rivolti poi degli stage intensivi in particolari accademie nelle quali vengono insegnati loro, ad esempio per i ragazzini che vanno dai 13 ai 15 anni, l’analisi del gioco  in una specifica posizione, la solidità mentale, l’intelligenza rugbystica e gli skills!

Tutto questo viene sviluppato nel corso degli anni passando per le varie categorie sino ad arrivare ai campionati provinciali, a quelli nazionali e al Super Rugby, la costante è che il singolo club appartenente ad una filiera produce lo stesso tipo di rugby, insomma i dettami tecnici sono gli stessi ma si innalza il livello di velocità, fisicità e la qualità! Ci stupiamo che nel paese della lunga nuvola bianca siano così avanti e che se dovesse mancare un titolare hanno subito pronto un giocatore che possa sostituirlo ad un livello assolutamente simile? Io personalmente no e quasi quasi lo prenderei come case study!

Marco Colautto  –  Rugbymeet

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