Addio ad Andrea Camilleri, una vita passata fra letteratura e sport: in bici sotto le bombe, l’amore per il pallone e la Ferrari

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Si è spento Andrea Camilleri, celebre scrittore italiano che ha dato vita alle vicende del Commissario Montalbano. Non solo un grande uomo di cultura, ma anche fervente appassionato di sport, odiato durante il fascismo, amato col passare del tempo

Una storia non ha senso senza un fine e purtroppo tutte ne hanno una. Lo sa bene chi alla scrittura ha dedicato la sua vita come Andrea Camilleri, scomparso quest’oggi a Roma all’età di 93 anni dopo essere stato ricoverato un mese fa a causa di un arresto cardiaco. Colonna portante della cultura italiana, iniziò a lavorare come regista teatrale nel 1942, entrò in RAI nel 1957 ed esordì come scrittore nel 1978 con “Il corso delle cose”. Si consacrò al grande pubblico con il romanzo poliziesco riguardante le vicende del commissario Montalbano, opera dal grande successo letterario e televisivo, grazie alla celebre serie tv con protagonista Luca Zingaretti.

LaPresse/Andrea Panegrossi

Artista capace di muoversi fra storie e parole, Andrea Camilleri era anche un grande appassionato di sport. Amore tardato a nascere, partito addirittura da una forma di ripudio, per non dire odio, in gioventù. L’imposizione fascista e la paura per la saluta del padre presidente di una squadretta di calcio, tardarono a far sbocciare in un giovane Camilleri la passione sportiva, come lui stesso raccontò: “lo sport fa ampia parte della società italiana, questo è sicuro. Non è che io lo disprezzi, anzi. Il fatto è che lo praticai in gioventù, al tempo del fascismo. Era obbligatorio e questo non lo accettai: fui l’unico studente italiano, penso, rimandato a ottobre in educazione fisica nel ‘42. Poi mi capitò una, non so se definirla disgrazia o altro. E cioè: mio padre divenne presidente dell’Empedoclina, una squadretta da quattro soldi. Io ero figlio unico. Ricordo queste angoscianti domeniche sera, nelle quali mio padre non tornava a casa dopo la partita. Erano partite che finivano sempre a botte, si svolgevano tra paesi vicini. Non sapevamo, con mamma, se papà era stato arrestato, fosse all’ ospedale… Credo che quelle domeniche mi abbiano allontanato dal calcio e abbiano un po’ condizionato la mia esistenza”.

LaPresse/Vincenzo Livieri

Con il passare del tempo, Andrea Camilleri guardò con occhi diversi la competizione, il tifo e il talento che rende appassionanti tanto una partita della Nazionale calcio, quanto una gara di motori anche agli occhi di chi, come lui, non comprendeva appieno le regole: “anche se quando è bello, dopo un po’ il gioco lo capisci. Capisci la rete dei passaggi, la qualità dei giocatori. Mi piace guardare anche le gare di Formula 1, la Ferrari e quelle delle moto. Non è che non ami lo sport, lo amo, mi piace vedere la competizione. Credo che l’unità d’Italia possa essere criticata quanto si vuole, ma che oggi si realizzi nel contrasto con l’avversario della squadra di calcio: in questa opposizione che si svolge sulle tribune, in realtà c’è un’unità di sentimento. Si può essere da una parte o dall’ altra, ma un’unità di sentimento esiste”.

LaPresse/Andrea Panegrossi

L’Unità d’Italia da ricercare attraverso lo sport, un’ideale interessante, espresso da chi ha vissuto sulla sua pelle il terrore della Seconda Guerra Mondiale. Anche in quel caso, quasi fosse uno sportivo, un ciclista per la precisione, che sfuggì ai bombardamenti in sella alla sua bici, su una strada fatta di ansia e paura: “un miracolo – raccontò Camilleri – che si ripetè quattro giorni dopo quando rifeci quella strada al contrario per andare a dire a mia madre che papà era vivo”.

Un pezzo di storia d’Italia, una colonna portante della letteratura e un grande appassionato di sport: Andrea Camilleri vivrà in eterno in chi avrà il cuore capace di perdere un battito tanto per il finale di un libro, quanto di una partita decisa al novantesimo.

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