A tutto Luca Ghiotto, dagli inizi al sogno F1: il giovane italiano punta in alto
I giovani si fanno sempre più spazio nel mondo della F1, così come anche gli italiani: dopo Giovinazzi adesso c’è anche Luca Ghiotto a caccia di un posto nella categoria regina. Il 22enne vicentino è salito sulla FW40 della Williams ai test di Budapest concludendo ben 160 giri, ma senza poter attaccare il tempo a causa della bandiera rossa: “uno sfizio che non sono riuscito a togliermi“, ha dichiarato in un’intervista a La Gazzetta dello Sport.
“Alzo un po’ l’asticella, il test era il primo obiettivo, credo di aver dimostrato di poterci stare. La Williams non ha un giovane di riferimento, spero di poter essere il loro terzo pilota per il 2018. Se una squadra del genere mi dà fiducia, vuol dire che qualcosa di buono c’è“, ha aggiunto Ghiotto, prima di raccontare come tutto ebbe inizio: “sono nato nel box. Mio padre, Franco, e mio zio, Sergio, correvano nella F.3 italiana. Mio nonno restaurava moto antiche: era impossibile che potessi fare altro. Nel 2007, all’ultima gara di papà, mi sono venuti ad annunciare che potevo provare coi kart, a Lonato. Due anni dopo, la prima vittoria in quella che è stata l’ultima gara corsa nel kartodromo di San Pancrazio, vicino a Parma. Poi sono venute la F. Abarth, le World Series, la GP3 e ora la F.2“.
Poi il contatto con la Williams e l’opportunità di guidare una F1: “è un team che non ti mette pressione. Si vede l’impronta che ha lasciato sir Frank, lo stile familiare. Alla fine del test ho visto tutti soddisfatti, e anche stupiti di quanti giri ho fatto. Penso abbiano apprezzato il mio lavoro. Credo mi abbiano contattato per i risultati degli ultimi anni. La buona stagione 2015 in GP3, quella dell’anno scorso con la Trident in GP2, e anche l’inizio di questa con la Russian Time (5° con 3 podi; n.d.r.). Se guardiamo alla classifica della F.2, tutti i primi sono già piloti di riferimento di un team di F.1. Io non lo sono, la Williams non ne ha uno. Dopo Baku mi hanno chiamato per un test al simulatore a Grove, che dev’essere andato bene. Ma quando il mio agente (Gianpaolo Matteucci, n.d.r.) mi ha detto che avrei fatto il test a Budapest, pensavo mi prendesse in giro“.
Un’emozione forse inspiegabile, quella provata ai test di Budapest lo scorso 2 agosto: “in momenti così ripensi a tutta la strada che hai fatto. Poi parti e vai. Ero abbastanza tranquillo, senza apprensioni. Sì, è una F.1, ma è pur sempre una macchina. La potenza del motore mi ha stupito meno di quello che immaginavo. Carico e frenata invece mi hanno lasciato senza parole, non trovi mai il limite. Mi sono divertito, ed è l’importante: quando ci si diverte in macchina si dà il 120%“.
“Sono pacato, tranquillo. Serio. Troppo, tanti mi dicono che dovrei sorridere di più. Inoltre sono molto meticoloso, preciso. Ecco, un’altra cosa che mi dicono in molti è che sembro tedesco. Forse è la definizione che mi descrive meglio“, ha aggiunto poi Luca Ghiotto, prima di esprimere il suo parere sull’assenza di italiani in F1: “non lo so. Dopo Fisichella e Trulli, c’è stato un periodo di vuoto. Ora ci siamo io, Giovinazzi, Fuoco…È motivo d’orgoglio. Alla fine i soli papabili siamo io e Giovinazzi. Metterò un tricolore sul casco, ce n’è bisogno“.
“Mi piacerebbe entrare in un team di F.1 con un ruolo definito, da terzo pilota. Poi, ovvio, vorrei un posto da titolare“, ha concluso Ghiotto pensando al futuro.