Moto, Biaggi e il suo tremendo calvario: “le spalle mi bucavano i polmoni, mi avevano dato poche speranze di vita…”

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Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Max Biaggi ha raccontato il suo calvario dal giorno dell’incidente fino ad oggi

Il peggio sembra essere alle spalle, il dolore però non accenna a scomparire. Max Biaggi però non ha intenzione di arrendersi, lavorando sodo per tornare come nuovo, per riacquisire quelle forze perse dopo il grave incidente in motard avvenuto sulla pista di Latina.

LaPresse/Mario Cartelli

Quasi venti giorni in rianimazione, 12 costole fratturate e ben due interventi per permettergli almeno di tossire. Adesso inizia il periodo di riabilitazione presso la clinica privata Pio XI, un lungo percorso che gli consentirà di tornare a vivere come prima. “La maggior parte del tempo la passo sdraiato, ogni tanto mi alzo… Ecco, la parte terribile è stata questa, bloccato in un letto in rianimazione, non puoi muoverti, piegarti, al massimo alzare appena lo schienale” racconta Max Biaggi nel corso di un’intervista alla Gazzetta dello Sport. “Per 17 giorni non mi sono mosso, i primi non potevo neppure parlare, soffiavo, per comunicare scrivevo sul telefonino. Pensi e basta. E soffri. Ero imbottito di antidolorifici, mi avevano messo un CVC (catetere venoso centrale; n.d.r.) giù per la carotide che si scomponeva in 5 canali per iniettare farmaci diversi, mi avevano fatto l’epidurale, come alle donne che partoriscono, la morfina. Eppure soffrivo come un animale. Ogni minimo colpo di tosse erano lacrime. Se dovessi provare a cercare le parole giuste, sembrerei un masochista patetico, lascio solo immaginare cosa ho passato. Dell’incidete non ricordo niente, neanche la curva. In tanti anni di gare è la prima volta. La botta è stata fortissima. Ricordo appena che ho cercato di alzarmi ma mi sembrava di soffocare. Chi era lì ha raccontato che imploravo che mi togliessero il casco, pensavo fosse il laccio che mi stesse strozzando. Invece erano le spalle collassate che mi bucavano i polmoni”.

LaPresse/Alessandro La Rocca

Giorni complicatissimi per Max: “i tuoi cari possono venirti a trovare, ma la gran parte del tempo sei lì solo. Sapete com’è la rianimazione? Un letto vicino all’altro, silenzio, penombra. Lì pensi al mondo, mi sono fatto viaggi mentali infiniti… Potevo muovere solo il collo, vedevo il letto di fronte e quelli ai lati. I primi giorni ero bello sedato, ma poi non dormivo più di 3-4 ore. Una notte verso l’una mi sveglio sentendo piangere, attorno al letto vicino al mio un sacco di gente. Dopo un po’, ho visto portare via il letto, il lenzuolo tirato su. Quel poveraccio del mio vicino era morto. I medici mi hanno sempre detto tutto, anche se all’inizio non mi rendevo conto di niente. I miei e Bianca mi hanno detto che parlavo a vanvera. Il 4° giorno il professor Claudio Ajmone Cat, un fenomeno, è venuto a spiegarmi: ‘Hai un trauma toracico maggiore con fratture costali multiple. Le statistiche dicono che in questi casi su 100 pazienti, 80 non sopravvivono’. Immaginate come mi sono sentito. Ancor più quando, tolto il drenaggio, il mattino dopo mi vedo davanti il professor Giuseppe Cardillo in camice azzurro: ‘Ti avevamo tolto un litro di sangue dai polmoni, si è riformato. Bisogna operare’. Lì ho avuto paura“.

LaPresse/Vincenzo Livieri

Il papà di Max ha chiesto subito che smettesse, mentre la sua fidanzata non lo ha lasciato un minuto da solo: “papà lo ha detto anche a me. Non gli ho risposto, ma non posso dargli torto. Bianca arrivava ogni giorno alle 8 e andava via a mezzanotte, a volte si addormentava sulla sedia. Non credevo potesse sopportare tutto questo. È stata la miglior cura, il mio angelo. I dottori hanno parlato chiaro coi miei genitori e lei, erano angosciati. I miei figli? Li ho visto quando stavo un po’ meglio. Mi chiedevano, “papà perché hai quel tubo, perché non riesci ad alzarti?”. La mia voce li aveva impressionati, ma ho chiesto io che venissero. Monaco è piccola, avessero saputo dai compagni a scuola chissà cosa si sarebbero immaginati. Vedendomi, si sono tranquillizzati. Leon mi sfidava, dicendo che non sarei riuscito ad alzarmi, non so dove ho trovato le forze, ma qualche passo l’ho fatto. Quando mi hanno rimesso giù ero bianco come il lenzuolo”.

LaPresse/Alessandro La Rocca

Tanti i messaggi di vicinanza, Biaggi non smette di ringraziare tutti: “ho ricevuto tanti messaggi che devo ancora finire di leggerli. Oltre a chi è venuto a trovarmi, i gli auguri sui social, gli sms… da Jovanotti alla Pausini, la gente è stata fantastica. Marquez mi ha telefonato due volte, pure Gigi Dall’Igna, mi ha scritto Rea, Lorenzo dopo Assen ha preso l’aereo ed è venuto a trovarmi. E un grazie speciale al presidente del Coni, Malagò. Mi ha messo a disposizione Matteo, fisioterapista Coni“.

 

Adesso si lavora duro per uscire anche dalla clinica riabilitativa: “lunedì o martedì dovrei andare via. Col dottor Cardillo vedremo le lastre, se la pleura si è riattaccata potrei anche tentare di volare a Montecarlo. Voglio tornare a casa. Sono fuori dal mondo, ma ho visto che la Ducati ha fatto una doppietta fantastica, che il Mondiale è apertissimo. Domenica vorrei vedere la gara. Cosa ho imparato? Che la vita è un dono e che solo gli stupidi non imparano le lezioni. Bisogna limitare quello che a volte ti spinge a fare le cose in modo un po’ irrazionale. Quando sei un professionista di alto livello, i contratti, il tuo valore di atleta compensano i rischi che prendi, ma quando questo finisce e resta solo la passione, non ne vale più la pena“.

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