I limiti esistono per essere superati: Simone Moro, l’alpinista da record

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L’alpinista italiano Simone Moro, sale in vetta al Narga Parbat. Traguardo storico: è il primo ad aver scalato in inverno quattro 8000 metri

Certi uomini, piuttosto che altri, hanno il desiderio di mettersi in gioco, di confrontarsi con se stessi, di ricercare nel tempo il proprio limite, spingersi a toccarlo, poi superarlo e infine puntare al prossimo traguardo. Non è una questione di competizione, nè ricerca di fama: è un modo di vivere, di intendere il percorso dell’uomo come una continua prova da superare, fino a quando la stanchezza della vecchiaia avrà la meglio, quello è l’ultimo limite, oltre non ci sarà alcun traguardo, si è arrivati meritatamente alla fine. Chi fa lo scalatore questo lo sa bene. Il contatto con la natura, primitiva e aspra, che sopravvive anche senza l’uomo, la montagna che si erge ruvida e maestosa, fanno sentire chi si rapporta ad essa infinitamente piccolo. Questa è la perfetta sintesi di una durezza che è anche “ricerca di una morale, puro attaccamento alla vita”, come diceva Slataper nel suo romanzo “Il Mio Carso“. Chi fa lo scalatore ricerca in ogni salita, una parte di se stesso.

Foto Piero Cruciatti / LaPresse
Foto Piero Cruciatti / LaPresse

La vita di Simone Moro è un esempio tanto semplice quanto efficace di cosa rappresenti questo stile di vita. Moro ha intrapreso la passione per l’arrampicata a soli 13 anni. Nel corso della sua vita, è arrivato 4 volte sull’Everest, ha compiuto 6 salite su cime di 6000 metri e altrettante su cime di 7000 metri. Lui che ha visto in faccia la morte, nel candore pallido e gelato della neve, di una valanga che sull’Annapurna nel 97, lo aveva travolto insieme a due compagni che non ce l’hanno fatta. Moro che è sopravvissuto, ha continuato, ed è arrivato a scalare tre 8000 metri in inverno: Shisma Pangma nel 2005, il Makalu nel 2009, il Gasherbrum II nel 2011. Il 26 febbraio 2016, ad essi si è aggiunto il Nanga Parbat, consegnandolo alla storia dell’alpinismo, come unico alpinista ad aver scalato quattro 8000 in prima invernale.

Foto Piero Cruciatti / LaPresse
Foto Piero Cruciatti / LaPresse

Nanga Parbat che lo aveva fatto desistere 2 volte, a causa della scarsa acclimatazione nel 2003 e per colpa del maltempo persistente nel 2011. “Ero sicuro che saremmo arrivati in cima, lo sapevo. Non sono mai andato così bene, così forte come quest’anno” ha dichiarato con felicità Moro. Lui che fra vittorie e sconfitte, si è dovuto confrontare, raccogliendone l’eredità, con leggende come Cassin, Bonatti e Messner:”ho fallito tante volte ma questo per me è come quando vinci 4 campionati di fila. Con il Nanga Parbat sono inchiodati al muro i successi. Non ho usato ossigeno, sono andato su a febbraio, non ho usato neppure le solette riscaldate“. Successo che ripaga della fatica, enorme di aver scalato una montagna disumana:”ho scalato vari Settemila, sono duri ma umani. Gli Ottomila fanno la differenza e il Nanga Parbat è l’ottomila che fa la differenza “.

Foto Piero Cruciatti / LaPresse
Foto Piero Cruciatti / LaPresse

Insieme a lui Tamara Lunger, che dopo aver stoicamente ripreso la scalata in seguito a una caduta in un crepaccio, si è dovuta arrendere a 70 metri dalla vetta, per permettere la riuscita della scalata a Moro e agli altri:”il Nanga Parbat è un gigante mentre Tamara è sorriso e saggezza. Ha rinunciato per 70 metri a un traguardo epocale solo per non chiederci aiuto in discesa, e non l’ha fatto per orgoglio: lo ha fatto perché eravamo alla frutta pure noi e sapeva che ci avrebbe messi in difficoltà“. L’alpinismo è anche questo: lottare per superare i propri limiti, confrontarsi con essi, accettare serenamente una sconfitta nonostante l’impegno profuso, lavorare duramente per vincere il confronto la scalata successiva.

 

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