Claudio Ranieri: la rivincita del “normal one”

SportFair

Tutti gli alti e bassi della carriera di Claudio Ranieri: un uomo che è passato dall’essere additato come un eterno secondo, fino a prendersi la vetta della Premier con una squadra da salvezza

LaPresse/PA
LaPresse/PA

Claudio Ranieri il primo luglio 2016 sta per andare in vacanza con la famiglia, risponde distratto a una telefonata e ancora non sa che quella chiamata avrebbe rappresentato la svolta della sua carriera. Perchè la svolta? Perchè gli allenatori come Ranieri non sono fatti per il calcio moderno. Sono uomini che non hanno un gran rapporto con i giornalisti, che non fanno i buffoni in conferenza stampa per dare spettacolo, sono poco mediatici, preferiscono i toni pacati, il lavoro sul campo, l’1-0 con un 4-4-2 attendista rispetto al 4-3 con un 4-2-4 con tanto di difensore centrale mandato a fare la punta nei minuti finali.

RanieriA dirla tutta, la carriera di Ranieri non è poi stata così male come la si vuol fare passare in Italia: ad inizio carriera vanta una scalata dalla C alla A col Cagliari, un quarto posto col Napoli nel 91-92, la promozione in A con la Fiorentina più una coppa Italia e una supercoppa negli anni di Firenze. Tutto ciò non è bastato ad evitargli l’esonero in entrambe le piazze, forse fin troppo calde per un tipo tranquillo come lui. Basta Italia, non c’è posto per Claudio. Inizia il suo viaggio in giro per il mondo. Lo accoglie la Spagna, anche qui alti e bassi: si va dall’Intertoto e la Copa del Rey col Valencia, al periodo orribile con l’Atletico Madrid. Anche qui è il momento dei saluti, l’animo latino mal si sposa con lo stile british di Ranieri.

LaPresse/Reuters
LaPresse/Reuters

E a proposito, quale piazza migliore di Londra per Claudio? Vola in Inghilterra, sponda Chelsea, ci resta 4 anni nei quali fa bene, ma non benissimo: arriva secondo in Premier, esce a un passo dalla finale di Champions, i media inglesi  oltre che bollarlo come eterno secondo, gli affibbiano il nomignolo di “Thinkerman” – “indeciso”, a causa dei cambi di formazione.

mourinhoCome se non bastasse, ci si mette anche la sfrontatezza in persona, l’antitesi di Ranieri, sua tracotanza Josè Mourinho, che apostrofa Ranieri come un “70enne che non è buono nemmeno ad imparare l’inglese“. Una volta chiamato a sostituirlo al Chelsea, dal patron Abramovich che cerca un vincente, uno “Special One” mica un “Normal one”, il buon Josè dichiara: “non è colpa mia se quando mi chiamò il Chelsea mi dissero che volevano vincere e che con lui non l’avrebbero mai fatto“. È troppo per Claudio, va via da un ambiente nel quale per natura si sarebbe dovuto calare alla perfezione. “Per quel poco che ho vissuto a Londra, quando ho allenato il Chelsea, una cosa ho capito: due inglesi messi insieme fanno un popolo, cinquantasette milioni di italiani no. Per questo motivo se mi verrà nuovamente offerta l’opportunità di farlo tornerò in Inghilterra. Per lavorare, benintesodichiarò, senza sapere cosa avesse in serbo per lui il futuro.

LaPresse / Giorgio Perottino
LaPresse / Giorgio Perottino

Prova a rifugiarsi al Valencia, ma i cavalli di ritorno raramente vanno bene: esonerato dopo l’eliminazione dalla Coppa Uefa. Si ferma due anni, pensa, riflette, è il caso di smettere? No, ha troppa voglia, gli piacciono le sfide, lo chiama l’Italia, 10 anni dopo, Tommaso Ghirardi gli affida il Parma, Ranieri accetta e salva gli emiliani. L’anno dopo chiama la Vecchia Signora, anche lei uscita da un periodaccio, Calciopoli e la conseguente Serie B. L’appeal è ancora forte, la Juve seduce il tecnico che accetta. Love story che finisce dopo due anni fra alti e bassi. Chiama il vero amore, la Roma, sua città natale. Anche qui non va mai oltre il secondo posto, dietro ancora una volta a Josè Mourinho, sua nemesi, allenatore dell’Inter del triplete. Il nuovo soprannome arriva presto: eterno secondo. Quando Mou lascia l’Inter dopo aver vinto tutto, è proprio Ranieri a fare da rimpiazzo: Claudio accetta con la solita pacatezza, senza dar peso all’eredità di Josè. La figura del portoghese per l’ambiente interista è assimilabile a Dio, passare da un ciclone come Josè a una lieve brezza primaverile come Ranieri non è ammissibile: l’esonero arriva dopo 6 mesi, l’eleganza di Ranieri lascia il posto a Stramaccioni.

LaPresse / Reuters /
LaPresse / Reuters /

Altro giro altra sfida, nel paese in cui l’eleganza viene sempre apprezzata: vola nel Principato di Monaco, porta il club monegasco in prima divisione, battaglia con la corazzata PSG. Ancora un secondo posto. Poi il punto più basso della carriera, quello dopo il quale c’è solo l’impatto con il fondo. L’esperienza come CT della Grecia, culminata con la mancata qualificazione a Euro2016, la sconfitta umiliante contro le Isole Far Oer e le dimissioni.

LaPresse / Reuters
LaPresse / Reuters

Capite adesso che quella telefonata del primo luglio 2016 alla quale abbiamo fatto riferimento, arriva dopo tante delusioni. “Claudio, se vuoi puoi tornare in Inghilterra. Ti vorrebbero al Leicester, una città a nordest di Londra. Avevano interpellato Prandelli, ma lui ha rifiutato. Non ritiene la squadra all’altezza…”. “Un’altra sfida? Va bene” risponde Ranieri. La storia del Leicester è ormai sulla bocca di tutti: squadra composta a basso budget; blocco difensivo che sommato non darebbe un difensore degno di questo nome, ma che dopo la cura Ranieri diventa la terza miglior difesa della Premier; animo operaio misto a fame di vittorie e talento delle due stelle Vardy e Mahrez. Mix esplosivo quello del Leicester che complice una stagione fallimentare di tutte le big inglesi, si ritrova primo in classifica a +5 sul Tottenham secondo e un calendario in discesa. Ciliegina sulla torta la vittoria per 2-1 sul Chelsea, sua ex squadra, guidata da Josè Mourinho il suo arcinemico che in seguito è stato esonerato. Arrivano le rivincite per Ranieri che si prende le prime pagine dei giornali, ottiene i favori dei media, che ha imparato l’inglese e scherza con i giornalisti che lo adorano, i tifosi lo hanno accolto come il messia, capace di portare una squadra da salvezza al primo posto.

LaPresse/Reuters
LaPresse/Reuters

L’indeciso è cresciuto, adesso la sua squadra ha gli occhi della tigre, lui stesso non ha le vertigini a guardare dall’alto le big della Premier. Resta solo da sfatare il tabù di eterno secondo e poi la rivincita del “normal one” potrà dirsi compiuta.

 

Condividi