Storia di un gabbiano investito

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Storia di un gabbiano investito, travolto, morto, durante il Gran Premio d’Australia

Sono un gabbiano. Eccomi: amo volare! Sono qui da più tempo di voi. Qui ho vissuto fin da piccolo. Qui ho i miei amici. Qui ho trovato la mia dolce metà. Questa è la mia vita. La mia esistenza si svolge qui: fra il verde di questi prati e l’azzurro di questo cielo. Anche se io, a dir la verità, sono figlio del mare, dell’oceano, di quell’acqua che sta in mezzo, fra prati e cielo. Mi libro in volo, atterro sulle onde, passeggio fra i fili d’erba. Sono bianco. Almeno lo ero. Poco prima del botto; della botta. Poco prima di diventare natura morta, esplosione di organi interni, morte in diretta. Ero un gabbiano. Avevo le ali. Poco prima di diventare pollo spennato, straziato, stracciato. Centrato, preso in pieno, nel bel mezzo di un mio abitudinario volo. Quella strada solcata nell’aria la faccio tutti i giorni, per andare a trovare i miei amici. Ma ieri qualcosa è andato storto. Qualcosa che non avevo previsto, qualcosa di impensabile mi ha investito, travolto, ucciso. Così è finita la mia vita, senza sapere bene perché. Ucciso senza motivo da qualcosa di meccanico che andava troppo veloce. È bastato un attimo, e da felice gabbiano sono diventato una natura morta caravaggesca 2.0. Immortalato dai flash: brandello bianco e rosso sospeso a mezz’aria mentre l’energia vitale mi abbandona per sempre. Gabbiano fatto a pezzi per una gara di velocità. Peccato, avrei voluto vivere altri giorni là sopra, volteggiando nel cielo azzurro australiano di Phillip Island, a casa mia.

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