Therapy Climbing: l’arrampicata che fa riscoprire sè stessi e dimenticare le paure

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Therapy Climbing, lo sport che aiuta a riscoprire sè stessi, superando limiti e paure

Lo sport, si sa, aiuta a sentirsi meglio. Non solo fisicamente, ma anche, e soprattutto, mentalmente. Praticare sport inoltre, può essere un’0ttima terapia per diversi tipi di disturbi. Così due psicoterapeuti, Marco Bruci e Chiara Scialanca, con l’aiuto dell’arrampicatore Giorgio Tuscolano hanno deciso di creare il Therapy Climbing: un’attività per riscoprire sè stessi, per imparare a cadere e a rialzarsi, e per puntare sempre in alto, anche quando si è stanchi, senza forze e motivazioni.
Un’attività che può essere rivolta a chi già fa un percorso terapeutico ma anche a chi vuole partecipare ‘spot’ a giornate tematiche, dedicate ad ansia, paura o dipendenza affettiva, pur non avendo una psicoterapia in corso e non avendo mai arrampicato.
Appena toccata la roccia e sollevati i piedi dalla terra, abbiamo intuito il grande valore terapeutico dell’arrampicare e così è nata la voglia di unire due passioni: la psicoterapia e l’arrampicata. Arrampicare permette di esperire, in modo intenso, completo e in pochi metri di scalata, la sintesi del lungo processo psicoterapeutico. Un processo suddiviso in una serie di obiettivi intermedi che portano al raggiungimento di mete finali, come ad esempio la strutturazione e il consolidamento della capacità autoregolativa, la trasformazione di dinamiche di dipendenza in dinamiche di interdipendenza, l’individuazione, oltre che l’affermazione delle proprie competenze e della propria individualità attraverso il superamento di difficoltà e problemi. Un processo costellato da imprevisti, difficoltà, regressioni, resistenze gestibili attraverso un dialogo interno accogliente e orientato al successo  e in una relazione sintonizzata e rispettosa. L’arrampicata è tutto questo tradotto in esperienza corporea, emotiva e relazionale. Il procedere con le proprie forze contattando la paura, il vuoto, i propri limiti,il raggiungere lo spit che da sicurezza, assicurarsi, per continuare gradualmente verso l’obiettivo successivo al fine di arrivare in catena – al top – e liberare la via, è “l’esperienzalizzazione”  del procedere del percorso terapeutico. E tutto questo non avviene nella solitudine, ma insieme all’altro. Un altro da cui non si dipende, ma che sostiene nella salita, che accompagna in modo attento e sincronizzato e che fa si che l’eventuale caduta non sia rovinosa per poi aiutare a ripartire. Così si arrampica imparando ad ascoltare il corpo, i limiti, le emozioni, cercando soluzioni alle difficoltà della via, fronteggiando le paure, dosando le forze, integrando il corpo, la mente e l’emotività. Si riesce in questo modo ad autoregolarsi ossia a far sì che lo stare, l’essere non dipenda dall’esterno, da un sintomo, ma da se stessi. In questo modo si libera la via, in questo modo si diventa autonomi e indipendenti”  si legge sul sito ufficiale del Therapy Climbing.

 

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