Dall’Epo al “doping tecnologico”, quando il ciclismo diventa sleale

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Un novo trucchetto per favorire prestazioni ciclistiche con un atteggiamento anti sportivo: motorini sulle bici, nasce il doping tecnologico

Ciclismo e doping un’accoppiata che fa e ha fatto scalpore. Forse il ciclismo è la disciplina in cui più volte si è associato quest’illegale “progetto” sportivo. Il doping infatti è da sempre la bestia nera di questo sport, ma sembra anche che gli addetti ai lavori  non facciano nulla per tenersi alla larga da queste dicerie. Dopo i fatti legati al “doping medico” infatti esisterebbe secondo alcuni un doping diverso all’interno del ciclismo: ossia il “doping tecnologico“. Biciclette di alta gamma dotate di motorini elettrici in grado di sprigionare dai 30 ai 500 watt e quindi capaci di migliorare artificialmente le prestazioni dei ciclisti.

Un problema in più da risolvere per la Federciclo mondiale che ha deciso proprio per questo di modificare il regolamento a stagione in corso. Stabilite anche le sanzioni previste in caso il ciclista venga scoperto in flagranza: l’esclusione dall’ordine d’arrivo, la squalifica per un periodo minimo di 6 mesi, una multa dai 19.265 ai 192.230 euro per l’atleta e sanzioni da 96.135 a 963.160 euro per i team.

cadute ciclismoPossono anche fare a pezzi una bici, tanto non lo trovano. anche perché spesso sono bici che non usano nel finale“, dice uno dei più grandi esperti mondiali del settore come riferisce il sito del quotidiano sportivo Gazzetta dello Sport.  “La fortuna è stata che non hanno controllato i mezzi al seguito”, dice l’esperto sui controlli effettuati dalla federazione ciclistica dopo la Parigi-Nizza e la Milano-Sanremo. Per lui infatti i motorini ciclistici non sono montati sulle bici di partenza o su quelle che arrivano al traguardo bensì su quelle in sostiutzione durante le competizioni. “Possono controllare tutte le bici che vogliono, ma non hanno nessun diritto di salire sui nostri mezzi”, incalza qualcun’altro facendo aumentare i sospetti.

I casi più eclatanti e strani rimangono quelli di Fabian Cancellara nel 2010 nelle Fiandre e alla Roubaix; l’episodio in cui Grammont accellerava per togliersi di ruota Boonen; quello di Daniel Martin, dopo la caduta alla Liegi-Bastogne-Liegi 2014; e quello di Ryder Hesjedal nella 7a tappa della Vuelta dello scorso anno.

Come funzionano? Sono motorini molto costosi, possono venire a costare circa 20.000 euro, ma consentono un incremento di potenza prodigiosa. “In Italia negli ultimi anni sono stati venduti 1.200 kit e tra gli amatori vedo spesso che nei primi 10 ci sono 5-6 corridori che lo usano. I motorini sono la nuova epo. Anche il sistema che ruota attorno, talvolta, è occulto. Capita che persone di un metro e sessanta comprino telai che vanno bene a gente di un metro e ottanta. Chiaramente quella bici non è per loro” – scrive la Gazzetta dello sport, svelando un vero e proprio losco business.

L’accensione deve essere ben nascosta per un meccanismo tanto compromettente. Fatta o con tasti impercettibili, o legata a cardiofrequenzimetri, la più prudente e più in voga di accensione di tutte rimane l’attivazione tramite Bluetooth, il cui avviamento può avvenire anche a distanza.

Difficili da rintracciare attraerso scanner e sonde, esiste però un sistema abbastanza semplice che consiste nel misurare le prestazioni delle bici: “nel passaporto biologico bisognerebbe inserire anche i dati di potenza alla soglia che emergono dai test. Poi si fanno delle verifiche durante le gare. In pianura il calcolo non è facilissimo, in salita invece le formule funzionano alla perfezione. La fisica è fisica, non è questione di crederci o meno. Se per esempio un atleta nei test ha 420 watt, non può scalare una montagna a 430-440. Altrimenti ha il motore. Se non si fa nulla, assisteremo a gare di MotoGP“.

Altre novità tecnologiche illegali riguarderebbero i taglietti da fare sulle ruote delle bici. La pratica illegale in quanto varia un componente omologato trarrebbe vantaggio nella aerodinamica ciclistica. Prestazioni dopate e gare falsate, la domanda che sorge spontanea è: che gusto c’è a vincere così?

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